Ripi

 

Provincia di Frosinone, abitanti 5.453, superficie Kmq 31,43, altitudine m. 300

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COMUNI

La Storia

Il nome Ripi non ha un’origine certa: deriva dal termine latino ripa che significa riva. Ma per la configurazione geografica del paese, situato nell’entroterra ciociaro senza che il territorio sia attraversato da fiumi rilevanti, il termine non trova alcuna giustificazione. Qualcuno ha voluto pensare ad un lago interno esistente in tempi lontani poi scomparso. Secondo il Marocco, uno scrittore ottocentesco, consistenti resti archeologici sarebbero stati trovati nella pianura circostante il centro urbano nelle località San Silvestro, Valarda, Fossa del Tesoro; si ipotizzò, così, l’esistenza di un’antica e grande città di epoca romana: i reperti più diversi si riferiscono a necropoli, oggetti d’abitazione e costruzioni interrate. Recenti ricerche hanno fatto conoscere la presenza dell’uomo nel territorio ripano dal Paleolitico; altri reperti di epoca romana sono affiorati in più contrade.

La fondazione del paese, comunque, risale al secolo IX dell’era cristiana, e le prime menzioni soltanto al Millecento.

 

Abitanti: Ripani

Festa patronale: San Giorgio

Frazioni e Località: Colle Castagno, San Giovanni.

Comuni limitrofi: Boville Ernica, Strangolagalli, Ceprano, Pofi, Arnara, Torrice.

Distanza da Frosinone Km. 10

Autostrada: A1 Frosinone

Nell’agro circostante il paese esisteva il Monastero di San Silvestro, di cui a partire dal 1154 non si ha traccia alcuna. Fino al secolo XII esistevano diversi insediamenti locali oltre a Ripi, come il castello di Carpino, che appartenevano alla circoscrizione della città di Veroli. Diventati autonomi, pur continuando ad appartenere alla diocesi verolana, i borghi di Ripi e Carpino si dettero propri ordinamenti e dal 1150 si ricordano signori locali che vivevano in regime di condominio, possedendo anche il vicino castello di Pofi. Malgrado tale ordinamento, molto frequente nella provincia pontificia di Campagna, il castello ripano era soggetto ai papi romani i quali approvavano gli infeudamenti. Proprio per la loro posizione, lungo la via Latina, Ripi e Carpino furono più volte sottoposti a saccheggi e incendi. Nel 1129 Ripi bruciò, sembra per causa delle truppe di Onorio Il, il quale cercava di recuperare e consolidare il potere papale nella Campagna. Ancora nel 1165 il paese venne incendiato dai normanni di Guglielmo I re di Sicilia; nel 1170 scoppiò un incendio fortuito e ciò fa capire che il castrum doveva essere costituito ancora sostanzialmente di case lignee. Nel 1189 Ripi, come i paesi vicini, venne occupato dall’esercito di Enrico VI sceso alla conquista del regno siciliano; in quell’occasione il paese ed il suo territorio furono devastati e depredati dalle truppe tedesche. Malgrado le distruzioni, i fertili colli ripani ben presto risollevarono le sorti di questi abitati che poterono avanzare rivendicazioni verso i loro signori i quali concessero uno statuto. La copia che possediamo risale al 1331 quando il castello era già nelle mani dei Caetani, i potenti parenti di Bonifacio VIII. Durante le guerre fra i Caetani e i loro avversari, a seguito dello “schiaffo di Anagni”, il castello di Ripi venne occupato dai Colonna; la riconquista caetana non tardò, riuscendo i baroni anagnini a tenere il paese fino alla metà del Trecento. Nella seconda parte del secolo XIV diversi feudatari ebbero la signoria di Ripi. Intanto i ripani neI 1357 avevano partecipato alla ribellione contro l’estensione alla provincia campanina delle disposizioni albornoziane al fine di mantenere le libertà garantite dagli statuti municipali. Solo nel 1410 Ripi, assieme al castello di Carpino, passava nelle mani dei Colonna, ma i ripani si ribellarono alla Chiesa nel 1459-60, tornando ai Caetani della contea di Fondi.

Nel 1491 Ripi era ancora nelle mani di Onorato Caetani e, dall’inventano redatto nell’anno della sua morte, si apprende che vi si fabbricavano le pietre dei mulini esportate in tutta la zona.

I Colonna riuscirono a conquistare la contea fondana nel 1523 e con essa a riprendere la sovranità su Ripi che tennero in mezzo a molteplici vicissitudini, soprattutto nel corso del Cinquecento per le continue lotte con il papato, fino alla scomparsa dei feudi nel 1816.

Malgrado la forte presenza signorile la Chiesa verolana possedeva ampi poteri all’interno della giurisdizione locale: i vescovi ed il capitolo di Veroli erano i maggiori possidenti e i loro atti di infeudazione economica, di concessione delle terre da coltivare, le forme contrattuali usate condizionavano realmente la vita del castello, dei suoi feudatari e degli abitanti. E la Chiesa verolana a concedere ai condomini, nel 1195, la possibilità di fortificare il paese; la stessa Chiesa possedeva tutta l’area prospiciente il torrente Meringo, con vasti possedimenti concessi a coloni ed enfiteuti.

Dopo una serie di avvenimenti, soprattutto dovuti alle continue confische papali del feudo dei Colonna, la famiglia riorganizzava i propri possessi sottoponendo Ripi allo stato di Pofi, mentre progressivamente si veniva istituendo il comune rurale sotto l’alta sorveglianza pontificia. I Colonna possedevano in Ripi ingenti proprietà, derivate dall’asse feudale, che davano ad affittuari locali, favorendo indirettamente l’incremento delle coltivazioni e la formazione e l’ascesa della borghesia rurale. Malgrado il miglioramento incessante dell’agricoltura (nel Settecento si ebbe l’introduzione del mais e, verso il 1796, del riso, che consentiva di attivare un ampio commercio tramite il porto di Terracina) il paese e gli abitanti risentirono fortemente di due carestie. Alla fine del secolo XVIII Ripi venne coinvolta nelle vicende derivate dalle invasioni francesi. Anche qui si manifestarono rivolte antigiacobine ma, passato il periodo napoleonico, ben presto si formò un vasto gruppo di carbonari, collegati con i centri vicini da cui, poi, scaturirà un folto gruppo di patrioti.

È noto il “tamburino di Ripi”, il giovanetto Domenico Subiaco, caduto a Villa Corsini il 3 giugno 1849 durante l’assedio della repubblica romana, ed a cui è dedicata la “scala del tamburino” al Gianicolo in Roma. Patriota, animatore mazziniano e garibaldino fu il ripano Aristide Salvatori, presente in molte imprese per l’unità nazionale. Nel 1867 Ripi, durante la spedizione garibaldina infrantasi a Mentana, proclamò la sua annessione al regno d’italia.

Nel periodo posteriore all’unificazione ci fu un forte incremento demografico e cominciò anche per il centro ciociaro un’imponente emigrazione degli abitanti verso i paesi extraeuropei, che cessò solo negli anni Sessanta con l’industrializzazione del Frusinate. Intanto il terremoto del 1915 produsse molti guasti al centro urbano ma nel primo dopoguerra si aprirono felici prospettive per la scoperta di alcuni giacimenti petroliferi. I ripetuti tentativi di estrarre il petrolio non ebbero risultati soddisfacenti dato che solamente qualche pozzo entrò in produzione.

La seconda guerra mondiale ha profondamente coinvolto il centro laziale: alcuni ripani, dopo l’8 settembre 1943, si segnalarono per la loro attività antitedesca in più luoghi d’Italia; il paese subì la repressione nazista e i bombardamenti alleati. Se quest’ultimi causarono la distruzione di metà centro urbano, con numerose vittime civili, la repressione tedesca colpì in modo barbaro sette ripani che si erano opposti ad una razzia, fucilandoli

dopo averli costretti a scavarsi con le loro mani la fossa. L’intero paese reagì dissotterrando i cadaveri e organizzando un grande funerale religioso per i defunti, che sfilò davanti ai tedeschi.

Nel dopoguerra la ricostruzione fu inizialmente lenta; l’esuberante popolazione non trovò nell’agricoltura possibilità d’impiego e per questo riprese una forte emigrazione verso le Americhe, cessata solo recentemente. Intanto erano sorte modeste attività locali, ma soprattutto si sviluppò una moderna agricoltura condotta con aziende di piccole dimensioni ma efficienti.

Il centro urbano è stato interamente ricostruito e, a partire dagli anni Cinquanta, nelle numerose contrade di campagna si è assistito ad un rapido sviluppo delle abitazioni.

Negli anni Sessanta si è sviluppata la zona prospiciente la Casilina, ove sono sorti servizi per gli automobilisti, aziende commerciali ed artigianali, servizi pubblici e, recentemente, un’area attrezzata per la piccola industria.

Il centro urbano di Ripi conserva solo l’immagine e l’impianto complessivo, ma non più le strutture, del castrum medioevale. Non esistono più gli antichi edifici abitativi, i rifacimenti moderni hanno travolto le architetture medioevali. Rimangono di questo lontano periodo solo un lacerto di muro ed un portale ad arco a sesto acuto nella zona di piazza Marconi, una porta con architrave e timpano su mensole lungo Rua de’ Cavalieri. Giungendo a Ripi dalla Casilina ci si immette in un’ addizione ottocentesca da cui si nota chiaramente il disegno della terra murata. Attorno è sorta una circonvallazione, che da una parte è pianeggiante, perché si è costruito un ampio balcone sulla vallata, mentre dall’altra si seguono ancora le curve di livello e ci si immerge nei meandri di antiche strade antemurali. Da via Umberto si nota l’andamento dell’antica cinta muraria e si vedono edifici apparentemente più antichi: sopra le abitazioni di questo lato svetta il modernissimo serbatoio idrico che contrasta nettamente con certi muri, resti di costruzioni del Sei-Settecento appartenenti alla cinta.

Dalla toponomastica e dall’esame esterno degli edifici si intuisce che il lato orientale, molto scosceso, non doveva essere fortificato mentre nella stessa zona doveva esserci un fortilizio, oggi smembrato, frazionato e sottoposto a rimaneggiamenti che ne rendono difficile la lettura.

Quest’area, retrostante la chiesa principale, presenta un allargamento dell’abitato con strade e vicoli di scollinamento.

Si conservano le due porte d’accesso, rifatte interamente in epoca moderna: la Porta di Santa Croce rivolta a sud verso la via Latina, l’altra, che pare essere stata denominata Sant’Angelo, è dalla parte opposta rivolta verso Veroli: ambedue si presentano come uno stretto passaggio con ampia volta a botte.

Il centro urbano di Ripi sembra essere sorto lungo una strada trasversale che da Veroli e dai monti Ernici scendeva verso la valle del Sacco, per cui deve aver avuto una funzione di sostegno al transito. Ancora oggi il centro storico si dipana lungo una sinuosa strada che fende il dorso della collina mettendo in comunicazione due poli.

Confermerebbe questa funzione l’antico toponimo della Rua de’ Cavalieri, posta vicino all’attuale Chiesa di San Salvatore, erede della medioevale Santa Maria. Questa chiesa oggi appare nella sua veste settecentesca: l’interno è a una sola navata con cappelle laterali. Restaurata recentemente si presenta ben decorata anche se le pale d’altare non appaiono di grande rilievo artistico; c’è anche qualche copia di quadri più famosi. Un’altra chiesa, annessa alla scuola media, si presenta con un interno barocco, in non buone condizioni e con quadri di modesto interesse.

Un Palazzo notevole sorge vicino Porta Santa Croce, ed una data, 1781, è incisa a grandi cifre sullo spigolo esterno, il suo portale si presenta riccamente ornato. All’interno del borgo si elevano diversi palazzetti di età moderna con qualche bel portale in pietra calcarea o in tufo. Molte case sono state decorate nei secoli più recenti. Fuori Porta Sant’Angelo, in direzione di Veroli, sorge un borgo dominato dall’alta mole della Chiesa di San Rocco.

All’interno del parco della Rimembranza, è stato eretto un moderno monumento ai ripani militari e civili caduti in guerra, opera collettiva di più architetti: sopra una grande lastra verticale è stata collocata una devastata figura umana che rappresenta gli orrori e le sofferenze causati dalla guerra.

Ripi sorge in un’area di modesti rilievi appartenenti allo scollinamento ernico; fra le colline serpeggiano vallette e la natura è tutta trasformata dal lavoro agricolo. Infatti l’attività economica principale rimane ancora l’agricoltura: la produzione di vini e d’olio è commercializzata direttamente, continuando una lontana tradizione. Molto forte è la zootecnia. Parecchi agricoltori lavorano nelle fabbriche della zona, sia nel Frusinate che alla Fiat di Cassino.

Nel settore industriale si deve registrare la fine, nel secondo dopoguerra, della estrazione di petrolio dai locali pozzi, ma anche la nascita e la crescita di numerose piccole industrie.

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