Monte San Giovanni Campano

 

Provincia di Frosinone, abitanti 12.635, superficie Kmq 48,51, altitudine m.420

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COMUNI

La Storia

Il comune di Monte San Giovanni Campano occupa un ampio territorio al centro dell’attuale provincia di Frosinone. Il centro storico è posto sopra un’alta collina e la zona è densamente popolata.

Il nome del comune ha origine da una chiesa dedicata a San Giovanni a cui venne aggiunto, nel Mille, l’appellativo di Campano per indicare che il paese era nella provincia pontificia di Campagna.

Sull’origine del paese diverse sono le ipotesi ma nessuna è stata confermata dalla ricerca storica: l’insediamento può essere nato nell’antichità da popolazioni sannitiche o da profughi della vicina Cereate Marianae, oggi Casamari, oppure nel Medioevo quando popolazioni rurali si concentrarono sul vertice del colle, fortificato successivamente da alcuni feudatari. Nella zona ci sono comunque resti archeologici. I sostenitori dell’origine medioevale partono dalla fondazione di un monastero attribuito a San Benedetto e parlano di una distruzione risalente alle invasioni longobarde.

 

Abitanti: Monticiani

Festa patronale:San Tommaso d'Aquino.

Frazioni e Località: Anitrella, Chiaiamari, Colli, La Lucca, Panicelli, Porrino,  Rapone.

Comuni limitrofi: Arce, Arpino, Boville Ernica, Castelliri, Fontana Liri, Sora, Strangolagalli, Veroli.

Distanza da Frosinone Km. 20

Autostrada: A1 Frosinone - Ceprano.

Di sicuro nella documentazione storica il castello compare intorno ai primi decenni dell’XI secolo:

possesso di alcuni feudatari, era, però, sotto il controllo del vescovo di Veroli, nella cui circoscrizione amministrativa Monte San Giovanni rimarrà per sempre. Per intervento di Roberto il Guiscardo il feudo passò ai d’Aquino e del loro territorio costituì uno dei più sicuri baluardi, consolidato con la sottomissione feudale del 1152 ad Eugenio III. Il vescovo di Veroli aveva discreti possessi nel borgo e nel territorio e nel 1155 donò ad Adriano IV una casa per le sue vacanze fuori della porta castellana. I rapporti fra i d’Aquino ed i vescovi di Veroli furono sempre turbolenti per le controversie sui boschi e i terreni agricoli posseduti in solido. Preoccupazione fondamentale dei signori feudali fu quella di fortificare il paese, dotandolo di un imprendibile castello e di una cospicua cinta muraria, pare dotata di oltre quattordici torri. Che le fortificazioni fossero robuste lo dimostrano gli assalti andati a vuoto di Guglielmo I, detto il Malo e di Federico I Barbarossa. Solo lo spaventoso terremoto del 1184 (le campane suonarono da sole per diversi giorni) danneggiò gravemente le strutture che però vennero rapidamente rinforzate e solo due anni dopo, nel 1186, Enrico VI si trovò di fronte difese così imponenti da non consentirgli l’assedio.

Nel 1243 il castello era nelle mani di Landolfo, padre di San Tommaso d’Aquino, e pare che il santo sia stato rinchiuso per circa due anni nelle fortificazioni del maniero.

I d’Aquino persero il feudo solo nel 1422, confiscato da Martino V e concesso ai suoi parenti, ma la parentesi fu breve e l’ultima discendente d’Aquino, sposando un ufficiale aragonese, ottenne di recuperarlo. Intorno al 1471 il feudo entrò nell’orbita del regno di Napoli.

La posizione fortificata indusse il presidio aragonese e gli abitanti a sbarrare il passo alle milizie angioine di Carlo VIII che nel 1495 entrarono nel regno di Napoli: alla richiesta di lasciare campo libero la guarnigione aragonese e i monticiani risposero mozzando nasi ed orecchie ai messaggeri. Il castello venne prima bombardato, tecnica di combattimento sconosciuta ai difensori, e poi preso d’assalto e devastato: morirono centinaia di difensori e di abitanti, tanto da rimanere per lungo tempo quasi spopolato. Si narra che alcuni soldati si dettero alla fuga raggiungendo la porta a sud del paese che per questo viene chiamata Porta dei Codardi. L’episodio dell’assedio è ricordato in tutte le cronache italiane del tempo e pare abbia avuto l’effetto di scoraggiare l’ulteriore difesa del regno. In seguito alle distruzioni le abitazioni verso il colle San Marco e le fortificazioni di quella parte vennero abbandonate e gli abitanti si spostarono sotto il castello determinando un ampliamento dell’abitato castellano. Tale abbandono è documentato dalla recente scoperta di cospicue strutture edilizie nel l’area suddetta.

Agli inizi del Cinquecento papa Alessan dro VI confiscò il feudo ai d’Avalos e lo donò al nipote Rodrigo Borgia. Nel 1568 il feudo, eretto a ducato da Pio V, tornò ai d’Aquino d’Avalos. Vi soggiornò Vittoria Colonna. Antonella d’Aquino d’Avalos fece erigere un convento cappuccino, subito dopo la fondazione di questo ramo riformato dei francescani. Il cenobio sorge sul luogo di una precedente chiesa che deriva dall’antico monastero benedettino, fondato dal patriarca Benedetto.

Alla fine del XVI secolo papa Clemente VIII riacquistò dai d’Aquino d’Avalos il feudo di Monte San Giovanni assieme a Colli e Strangolagalli. Il contratto d’acquisto fu stipulato il 23 marzo 1595 ed il successivo 8 giugno il papa concesse un’amnistia generale sui generis che arrivò persino a far distruggere gli incartamenti processuali in atto e quelli di giudizi già completati. Il 19 giugno il papa decretò che il castello fosse soggetto direttamente a Roma. Tale interesse per l’acquisizione del feudo scaturiva dal tentativo di mettere ordine ai confini meridionali dello stato, con il raggiungimento dei confini geografici lungo il fiume Liri. L’altro obiettivo era quello di controllare una piazzaforte notevole ed importante. Da quel momento, infatti, Monte San Giovanni venne inserito nel sistema di difesa pontificio.

Nel corso del Settecento si verificò un grande incremento demografico, per cui parte della popolazione andò a popolare l’agro e dette vita ad una serie di piccoli insediamenti rurali attorno a chiese di campagna. Vi fu un riordinamento del l’assetto socio-economico con la riduzione degli antichi quartieri da sette a quattro. Il secolo si era aperto con un terremoto, aveva visto il passaggio di eserciti stranieri e si chiudeva con l’arrivo della rivoluzione.

Nel 1798 Monte San Giovanni fu occupato da truppe francesi a conferma dell’importanza della piazza. Si organizzò un governo repubblicano, ma la popolazione parteggiava per il papa-re. Con la restaurazione il paese diventò sede del governatorato e si vide confermare un ruolo di predominio nell’area. Ormai aveva superato i 4.000 abitanti e diverse centinaia di famiglie abitavano stabilmente in campagna.

Paese di confine, Monte San Giovanni fù coinvolto nei moti risorgimentali: nel 1849-50 fu presidiato da truppe napoletane che vi organizzarono l’ospedale da campo. Dopo il 1860, quando i filounitari erano pochi e isolati, mentre la massa della popolazione era papalina, Monte San Giovanni fu toccato dagli avvenimenti bellici.

Nel 1867, durante il tentativo garibaldino di marciare su Roma, una colonna penetrò da sud e un gruppo di camicie rosse fu attaccato dalle forze pontificie riportando gravi perdite nella casina Valentini, in agro monticiano.

Nel 1870 Monte San Giovanni entrò a far parte del regno d’Italia ma lo spirito del paese unito non sembrò contagiare la popolazione e la classe dirigente locale. Solo verso la fine del secolo si poté constatare qualche lento miglioramento strutturale, come la realizzazione di una rete stradale che mise in comunicazione il paese con la rete nazionale e le frazioni, ormai in rigoglioso sviluppo. Alla fine del secolo molti monticiani emigrarono. Trà quelli rimasti aumentò il numero degli operai impiegati nelle cartiere di Anitrella e di Isola del Liri e per questo motivo si sviluppò un forte movimento operaio che conobbe, fra i primi decenni del Novecento ed il primo dopoguerra, momenti di intensa partecipazione.

Il terremoto del 1915 danneggiò gravemente il vecchio castello e il restante patrimonio edilizio. La prima guerra mondiale vide numerosi partecipanti: gran parte del consiglio comunale, fra cui lo stesso sindaco, partirono per il fronte. Nel 1927 Monte San Giovanni entrò a far parte della neocostituita provincia di Frosinone.

La seconda guerra mondiale ha toccato poco questo centro interno ed il dopoguerra è stato foriero di grandi novità. La popolazione ormai si è riversata impetuosamente nelle campagne, ampliando le già popolate frazioni e costituendo numerosi agglomerati nuovi. La gente si è impiegata in vari settori. Molti hanno dato vita ad un cospicuo movimento di pendolari e hanno costituito piccole e vivaci imprese edilizie. Altri lavorano nelle industrie del la zona.

L’antico Castello

I massicci resti dell’antico castello baronale sorgono sull’alto colle di Monte San Giovanni ed hanno risentito di tantissime traversie dei tempi, specialmente degli ultimi secoli.

Dall’analisi del complesso si desume che esso fosse diviso in due zone distinte: la prima con funzione militare, comprendeva i due torrioni e gli edifici per l’alloggiamento dei militari (pare che ne potesse ospitare ben settecento); la seconda era adibita a residenza per la famiglia del castellano.

Di questa imponente costruzione rimane ben poco: due torri, una parte della cinta, un palazzetto: solo osservando le fotografie si può notare che il castello è stato pesantemente ridimensionato.

In alto sorge una massiccia torre quadra, forse il maschio, oggi alta circa 20 metri con uno spessore murario alla base di oltre tre metri. Rimane il suo ingresso caratterizzato da un grande monolite e da un’unica finestra; all’altra estremità c’è una torre pentagonale, trasformata da un restauro.

Le due torri erano collegate da un passaggio coperto, oggi interrato.

I lavori del Settecento e i danni dovuti al terremoto deI 1915 hanno completamente trasformato il castello. Se in precedenza erano sparite delle torri e si erano ridotte le mura, il terremoto del gennaio 1915 lesionò gravemente gli edifici per cui furono abbattuti due piani del grande palazzo e ridotta la torre, eliminando diverse cornici, finestre bifore ed elementi decorativi. Ne rimane solamente una colonnina con capitello a foglie ornamentali.

Oggi la parte inferiore del complesso è stata destinata a giardino che si attraversa per andare alla Cappella di San Tommaso, ove si dice che il filosofo sia stato tenuto prigioniero. Vi si accede per mezzo di una recente scalinata e dopo un largo vestibolo si entra nella cella, trasfomata in cappella.

Vi troviamo una tela del Solimena e un trittico cinquecentesco di scuola napoletana; in alto, sulla parete di fondo, si notano tracce di affreschi ed emerge chiaramente una testina.

Anche la pavimentazione della cappella ha piastrelle cotte e smaltate, risalenti al Cinquecento. La trasformazione risale al periodo dei d’Aquino d’Avalos e pare più precisamente ai tempi della marchesa Isabella.

Un palazzetto è stato restaurato nel corso di questo secolo da parte degli ultimi possessori e riprende elementi rinascimentali toscani e romani; l’interno è stato suddiviso in stanze dedicate alla musica (con arredi appartenuti a Pietro Mascagni), al convito, ai giochi e una taverna.

Il centro storico di Monte San Giovanni Campano conserva ancora grandi tratti delle sue mura. L’abitato si estende per tutta la cresta della collina e si nota la cerchia castrense e, in diverse parti, quella muraria. Alcune torri emergono dal tessuto edilizio, ingiobate nelle abitazioni, mentre altre sono mozzate. Le cortine appaiono in gran parte rimaneggiate a causa di una lunga serie di interventi, alcuni dei quali iniziati già a partire dal XVIII secolo. Il materiale di risulta fu reimpiegato a coprire il fossato tra le due cinte, ed in questo modo cominciò a scomparire l’immagine medioevale del maniero e della città. Coperto il fossato, vennero costruiti alcuni edifici e la Porta dell’Orione, oggi scomparsa.

Le porte dell’antico abitato pare fossero cinque, di queste ne rimangono tre: la Porta dei Codardi, di San Rocco e della Scrima. La prima, con arco a tutto sesto, è rivolta verso Strangolagalli-Boville; la seconda, ad arco acuto e mensole sporgenti vicina ad una torre, è rivolta verso l’agro di Canneto; la terza, aperta nelle vicinanze della Chiesa di San Pietro de Arenula, è diretta verso le campagne e oggi appare la più complessa delle tre porte rimaste: l’arco a tutto sesto è dentro un fabbricato che forma un doppio accesso. Anche il centro storico, tutto gravitante oggi verso la piazza principale, ove sorgono il Palazzo comunale e la Chiesa di Santa Maria della Valle, è suddiviso in due zone: la prima ruota attorno al castello, la seconda verso il basso della collina sul versante sud-est. Le due zone si differenziano sia per l’andamento viario che per la tipologia degli edifici. Nella prima zona ci sono vie interne strettamente connesse alla conformazione della cresta, in alcuni luoghi anche ad andamento piano, mentre nella seconda zona le strade devono conformarsi alle necessità di scollinamento. Ma la differenza sostanziale è nella tipologia edilizia: la prima area presenta anche palazzi e abitazioni di un certo rilievo per il fatto che è vicina alla zona castellana ed al centro politico; nella seconda appaiono case più modeste e si nota un generale abbandono. Ambedue le zone sono caratterizzate da una fuga di vicoli, spesso bui, che si snodano fra le case, stretti e a volte ripidi. Tutto il centro storico presenta diversi elementi architettonici molto interessanti: portali, finestre, pavimentazione, tutti in pietra calcarea, con qualche raro esempio in tufo.

Diverse sono le costruzioni rilevanti ed i palazzi di Monte San Giovanni: il più noto è il Palazzo comunale, eretto nel XVIII secolo ed ampliato nella prima metà del Novecento quando fu sistemata anche la piazza principale. Allora assunse l’aspetto neogotico attuale. La sala consiliare è stata decorata nel 1958 con stile sobrio ed austero. Una grande immagine di San Tommaso domina la parete di fondo, e stemmi e scudi sono dipinti attorno alle pareti.

La Collegiata di Santa Maria della Valle (nel passato dedicata alla Madonna in Cielo o anche del Suffragio) è la principale di Monte San Giovanni, di origine medioevale, compare infatti per la prima volta in un atto del 1186. L’attuale struttura risale al Cinquecento, infatti la facciata è di stile tardorinascimentale con due ordini di lesene, coronamento a timpano e ampio finestrone a vetrata istoriata. Al centro dei tre scomparti dell’ordine inferiore c’è il portale bronzeo dello scultore anagnino Tommaso Gismondi, in cui l’artista ha svolto i temi della devozione monticiana per la Madonna del Suffragio e per i santi patroni. Sono in tutto sette pannelli, di cui uno trasversale posto in alto e sei verticali. L’interno a navata unica e croce latina ha sei cappelle e al centro della crociera l’altare maggiore. La chiesa conserva la Gran Croce che si porta nelle processioni e il coro settecentesco intagliato dal tedesco Veser. L’abside è dell’architetto ottocentesco Virginio Vespignani, e ci sono pitture di Sarra, Balbi e della scuola del Cavalier d’Arpino. Una statua lignea di scuola lucchese della Madonna del Suffragio è del XVI secolo. La decorazione della chiesa è recente, dell’artigiano verolano Mauti che ha affrescato sulla volta tre episodi dell’Antico Testamento.

La Chiesa di Santa Maria della Arendola o Arenula è l’altro tempio urbano; anch’essa di origini medioevali, appare oggi profondamente rimaneggiata: a navata unica, abside smussata, una torre campanaria quadrata, conserva due pregevoli dipinti, il primo raffigurante la Natività della Madonna di scuola napoletana del XVIII secolo, il secondo la Madonna con Sant’Emidio e San Francesco che è stato attribuito al Sansovino.

La Chiesa di Santa Margherita è posta in alto vicino al castello. La sua origine è sconosciuta e lo stile dell’architettura, rosone centrale, finestra laterale con forte sguancio, campanile robusto, fa pensare ad una sua marcata vetustà, ma il timpano classico e le cornici del portone rimandano ad interventi architettonici rinasci mentali. Anche questa chiesa ha una sola navata e si presenta impoverita nell’arredamento liturgico.

Fuori del paese, oltre la Porta di San Rocco, è sita la Chiesa di San Pietro de Areaula di antica origine e documentata a partire dall’XI secolo. E ricordata come una fondazione canonicale, risalente al 1028, e sembra una delle più antiche testimonianze di questa forma di vita ecclesiastica precedente alla riforma gregoriana. Nel 1379 Urbano VI obbligò i certosini di Trisulti ad ingrandire la chiesa di cui erano divenuti proprietari e alla quale rimasero legati fino al 1870. Il cenobio ne nominava il parroco, la manteneva e, nel 1725, ne curò la ristrutturazione. L’edificio è singolare poiché si distacca nettamente dall’architettura più frequente della zona: infatti è a croce greca e in alto si chiude con tiburio ottagonale e lanterna. Il campanile, incastrato fra due bracci, presenta un’originale copertura che richiama elementi stilistici orientali; anche la facciata settecentesca è insolitamente estesa a coprire le sporgenze laterali, l’interno ha tre altari, uno per braccio, ed alcuni dipinti seicenteschi fra i quali una Vergine con Bambino, San Pietro e San Brunone del Caci.

Delle altre chiese si rammenta la Cappella di San Luigi Gonzaga con dipinti settecenteschi di scuola napoletana; la Chiesa dei Santi Giacomo Battista ed Evangelista nel convento cappuccino omonimo ricostruito nel Cinquecento. La chiesa precedente era molto più grande, ridotta poi alle dimensioni tipiche dei conventi cappuccini; interessante il chiostro con al centro un giardino. Attualmente il convento è una casa di preghiere e di incontri.

Nella campagna monticiana si trovano diverse chiese fra cui la Madonna del Reggimento ove si conserva un affresco. La chiesa è legata al ritrovamento nel 1796 di una sacra immagine, oggetto di devozione popolare.

Il centro storico riserva la sorpresa di una grande vista su uno splendido panorama: dal castello o la diversi balconi che si aprono nelle strade cittadine si può ammirare la vallata del Liri, il sistema delle colline centrali ciociare e le catene che coronano la valle ciociara.

Le frazioni

Abbiamo accennato in precedenza al forte sviluppo delle frazioni e delle contrade di Monte San Giovanni Campano; attualmente la maggior parte della popolazione vive in campagna, in questi piccoli agglomerati. Per questo motivo si è sviluppato un forte senso di autonomia e le frazioni vivono una vita associata del tutto separata dal centro storico. Ciascuna possiede feste, centri d’interesse, tradizioni ed anche una storia propria. Il più antico insediamento è Colli, un paesino adagiato sopra una bassa collina, vicino al Liri ed al fiumiciattolo Amaseno, già esistente dal Medioevo come derivazione del più antico insediamento di Canneto, sparito appunto in quei secoli, pare nel 1028. Di quel passato rimane solamente l’antica Chiesetta di San Pietro, che sorge solitaria fra i campi, austera e accogliente. In questa zona sono stati trovati diversi resti archeologici di antichi insediamenti preromani e di epoca romana. La Chiesa di San Pietro visse autonomamente fino al 1379, anno in cui fu concessa ai certosini di Trisulti. Vi si conservano l’immagine affrescata della Madonna di Canneto, risalente al Quattro-Cinquecento ed altri affreschi del Settecento. All’esterno vi sono anche un fregio dorico e colonne antiche. La frazione di Colli esisteva nel Quattrocento e per tutto l’Ottocento ha rivendicato la completa autonomia da Monte San Giovanni: ha avuto anche consigli, amministratori e servizi autonomi. Solo alla fine dell’Ottocento la frazione è stata collegata con il resto del paese da una strada, anche se l’agglomerato aveva cercato il collegamento stradale anche con il vicino comune di Fontana Liri ove il polverificio militare era fonte d’occupazione per moltissimi colligiani. Una frazione sorta attorno ad uno stabilimento è Anitrella, che prende il nome dall’anitra impressa nella filigrana della carta fabbricata nella cartiera Lucernari. Questa fabbrica sorge nel luogo ove c’è il massimo restringimento del fiume Liri, il cosiddetto Raio, terminante nel laghetto Vitarello. Qui, nel 1831, sorgeva una cartiera attorno alla quale si formò un nucleo abitato. Dopo un primo periodo favorevole, ai primi del Novecento, la fabbrica entrò in crisi e si svilupparono agitazioni operaie. La cartiera ha infine chiuso da pochi decenni. Prima della seconda guerra mondiale la frazione aveva assunto l’aspetto di un ridente borgo di campagna, oggi si nota un rilevante sviluppo edilizio. Una frazione di cui si conosce la data di nascita è Chiaiamari o Caiamari (il cui nome ha fatto nascere diverse storie sulla pretesa discendenza dal borgo natale di Caio Mario), nata intorno al 1780 a causa dell’espansione demografica e dell’appoderamento di nuove terre da parte dei cosiddetti “stazzaroli”. Il punto di riferimento della popolazione è stata la rurale Chiesetta della Madonna del Pianto edificata nel 1779 e ristrutturata nel 1870. Nella cappella del presbiterio è un dipinto del napoletano Frezzi della fine del ‘600 che raffigura la Madonna del Pianto. E vissuta come piccolo borgo fino alla costruzione, nel 1872, di una strada interna che ne ha favorito la crescita. La Lucca, che richiama alla mente un’antica città che si vorrebbe esistente da quelle parti, e Porrino, posta lungo la strada statale Mària, completano l’elenco frazioni monticiane.

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