Cassino è celebre nella storia e nel mondo
soprattutto per la sua Abbazia, faro di fede, di cultura e di civiltà.
L’Abbazia di Montecassino sorge sul monte omonimo,
in luogo geograficamente evidente, visibile da ogni punto della media Valle del
Liri - Garigliano, della Valle del Rapido e della vasta Piana di Cassino. La sua
costruzione in pietra calcarea e la sua architettura conferiscono al monumento
una imponenza grave, sacrale, il cui immediato messaggio è la durata nel tempo,
segno di implicita eternità. E’ così imponente, quel monumento, così monolitico,
così ben saldato sul monte, che si direbbe opera non d’arte ma di natura. E
invece appartiene alla possente arte benedettina, che incarna nell’estetica
l’etica della Regula Sancta, della sublimazione del lavoro nella
preghiera, dell’innalzamento alla universalità del particolare, del contingente,
del quotidiano.
Oggi è meta turistica da tutto il mondo,
Montecassino, anche per il congiunto richiamo della testimonianza bellica nella
ricostruzione dell’Abbazia e nella presenza del collaterale Cimitero Polacco.
E’ un’oasi di pace. Una pace turrita, conquistata e
riconquistata con la forza di volontà, con la perseveranza, con la lotta tenace
del paziente benedettino addetto all’opera amanuense o del laborioso contadino
ricurvo sull’aratro. Altrimenti non sarebbe stata ricostruita ben quattro volte,
rinascendo come la fenice dalle sue ceneri, sempre più splendida, quell’eterna
Abbazia.
BENEDETTO DA NORCIA, nel 529, scelse il monte
a Nord di Cassino come luogo in cui fermarsi, pregare, operare. Di lui sappiamo
quanto ci riferisce papa Gregorio Magno, nel suo libro i Dialoghi. San Benedetto
era nato a Norcia intorno al 480. Da giovane studiò a Roma. Disgustato dalla
vita dissoluta della città, priva di veri ideali, si ritirò a Subiaco, in una
grotta, in meditazione, per tre anni, radunando intorno a sé numerosi seguaci e
discepoli. Iniziò allora la vita da cenobita. I cenobi erano sistemi di vita
monastica, nati in Egitto sin dal IV secolo, in cui i “cenobiti”, a differenza
degli anacoreti che preferivano ritirarsi in solitaria contemplazione,
svolgevano attività in comune. Benedetto fondò dodici piccoli monasteri, fino a
quando non fu costretto a dipartirsene, a causa delle ostilità di un prete, tal
Fiorenzo. Raggiunse Monte Cassino, l’altura su cui erano gli antichi templi
pagani degli “dei falsi e bugiardi”, che distrusse, per edificarvi un nuovo tempio,
un nuovo luogo di culto e di venerazione del vero Dio. Nasce così la grande
Abbazia Benedettina di Montecassino, che tanto posto avrà nella storia civile e
religiosa non solo del Centro - Sud della Penisola ma dell’Italia e d’Europa.
Qui Benedetto trascorrerà il resto della sua vita, fino al 547, qui detterà la
sua Regula, qui impianterà quel nuovo sistema di vita monastica
tipicamente benedettino, non avulso, bensì interagente con la vita civile,
fondato sul principio dell’ora et labora. Tra l’altro, qui avrà
contatti anche con la sorella, Scolastica, che fonderà il Convento femminile
delle Benedettine a Piumarola, incontrandola ai piedi di Cassino, nella cappella
che sarà poi chiamata appunto “dell’incontro”. La Regola benedettina intende
disciplinare tutta la vita che si svolge all’interno del Cenobio. Suddivide le
attività in Opus Dei e Opus Manuum: attività divine e
attività manuali. Nelle prime sono incluse il Divino Ufficio recitato in comune,
la celebrazione conventuale della messa, le letture sacre della Bibbia, della
vita dei Santi Padri, come pure di filosofi e teologi. Nelle seconde sono
incluse l’agricoltura, l’artigianato, la trascrizione dei codici, lo studio. Il
felice connubio del lavoro manuale con la meditazione, caratteristica del tutto
nuova nella storia mondiale del monachesimo, valse, oltretutto, ad evitare i
rischi di un intellettualismo sterile e fuorviante. Peraltro, favorì la
presenza, e però pure il potere, della chiesa nella vita civile. Il Convento di
Montecassino, tra l’VIII e il XII secolo, arrivò ad una estensione dei suoi beni
terreni, la Terra Sancti Benedicti, tale da farne la più vasta e potente
signoria ecclesiastica di tutto il Medioevo. Tali proprietà si estendevano in
molte regioni d’Italia ed erano altresì dislocate perfino in Francia,
Spagna,Turchia, Ungheria. L’abate Desiderio fece incidere, sulle porte di bronzo
dell’Abbazia, realizzate a Costantinopoli, i nomi dei castelli e delle chiese
appartenenti al Patrimonio di Montecassino.
Questo immenso patrimonio si formò per donazioni,
per lasciti, per conquiste, per rivendicazioni giudiziarie. Tra queste ultime
troviamo un processo, nel 960, in cui compaiono davanti al giudice Arechisi in
Capua l’abate Aligerno ed il suo notaio, contro tal Rodelgrimo di Aquino, che
vantava diritti sulle terre della zona chiamata Flumentica, pur non possedendo
alcuna scrittura da far valere. L’abate Aligerno potè fornire al giudice una
prova testimoniale, nel cui atto sono contenute le prime parole di quella che
sarà la lingua italiana, il famoso Placito Cassinese: Sao ko kelle terre per
kelle fini que ki contene trenta anni le possette parte sancti Benedicti,
e cioè “so (dichiaro) che quelle terre entro quei confini che qui si descrivono
per trenta anni le possedette la parte (in causa cioè il Monastero) di San
Benedetto”.
L’Abbazia di Montecassino ha subìto, come abbiamo
ricordato prima, ben quattro distruzioni, l’una più disastrosa dell’altra. La
prima distruzione avvenne poco tempo dopo la morte di San Benedetto, tra gli
anni 577 e 589, ad opera dei Longobardi, che avevano devastato tutto il territono
attorno all’Abbazia. I monaci ripararono a Roma, portando in salvo l’originale
della Regula di San Benedetto. L’Abbazia e l’intero suo territorio
restarono abbandonati per circa centocinquantanni. Solo qualche devoto monaco
restò a vegliare sulla tomba del Santo fondatore. Ma diversi furono i papi che
presero a cuore la sorte dei dispersi figli di San Benedetto, a cominciare da
papa Gregorio Magno, il quale, nella sua opera i Dialoghi, raccolse
testimonianze biografi che del Santo di Norcia. Gregorio II inviò a Montecassino
l’abate Petronace, perché ricostruisse l’Abbazia e ricostruisse il cenobio
benedettino. Papa Zaccaria inaugurò la restaurata Abbazia, restituì ai
Benedettini di Montecassino la Regula, fece dono al Monastero delle terre
attorno ad esso. Altre donazioni vennero dal Duca di Benevento Gisulfo II, il
quale garantì all’Abbazia l’indipendenza dalle autorità laiche. Comincia un
periodo prospero per Montecassino: si succedono lasciti e donazioni, convergono
nell’Abbazia i più svariati interessi, vi sono spesso presenti personaggi di
primo piano della politica e della cultura, dal re d’Austria Carlomanno al re
longobardo Ratchis, da Carlo Magno a Ottone Il, dallo storico Paolo Diacono,
l’autore della Historia Longobardorum, allo studioso Ilderico, autore
dell’Ars Gramatica e fino ai papi Zaccaria, Adriano Il, Giovanni XII.
La seconda distruzione di Montecassino si ebbe
nell’883, ad opera dei Saraceni. I monaci si rifugiarono questa volta, per circa
sessant’anni, a Teano e, successivamente, a Capua. Durante il soggiorno a Teano,
a causa di un incendio, fu distrutto il documento originario della Regula,
insieme ad altri manoscritti.
Papa Agapito Il incaricò l’abate Aligerno di
ricostituire la comunità benedettina su Montecassino. Aligerno inaugurò uno dei
periodi più splendidi della celebre Abbazia. Provvide innanzitutto a riordinare
il patrimonio fondiario, assicurando ai coloni patti agrari significativamente
vantaggiosi per quei tempi. Poi si dedicò alla difesa di tutto il territorio
badiale con fortificazioni e castelli in ogni comunità, in ogni punto
strategico. Fu in questo contesto che venne eretta Rocca Janula.
Questo periodo di massimo splendore vede
Montecassino rifulgere nella cultura e nella politica europea di allora. Intanto
va ricordata la grande diffusione dei cenobi benedettini, circa centocinquanta.
Tra i monaci benedettini uscirono tre papi, tredici cardinali, numerosi
arcivescovi e vescovi.
Tra gli storici di questo aureo periodo menzioniamo
il vescovo Amato, autore della Storia dei Normanni e Leone Marsicano detto
Ostiense, autore della Cronaca del monastero cassinese.
Negli studi di medicina eccelsero l’abate Desiderio,
il futuro papa Vittore III; Costantino l’Africano, segretario di Roberto il
Guiscardo; Alfano.
Va infine ricordata la presenza di San Tommaso
d’Aquino, in età giovanile, che si formò alla scuola benedettina di Montecassino.
Durante la Cattività Avignonese, il Monastero fu
portato alla dignità vescovile e affidato all’istituto della “commenda”, con il
passaggio dell’amministrazione dei beni dai vescovi - abati a persona esterna al
monastero. La storia benedettina attraversa allora un periodo di decadenza,
dovuta all’inosservanza della regola monastica, con il declino degli studi e
della ricerca, con l’abbandono dello spirito di preghiera. Bisognerà arrivare al
Concilio di Trento e alla Controriforma per veder rinascere la cultura e
l’importanza benedettina.
La terza distruzione di Montecassino avvenne a causa
del terribile terremoto del 1349, che disastrosamente mandò perduto un immenso
patrimonio artistico e culturale. Fu ricostruito per volontà di Papa Urbano V,
il quale, tra l’altro, abolì la dignità vescovile per restituire il convento ai
monaci benedettini.
Dopo la battaglia del Garigliano, nel 1503, che vide
scontrarsi Francesi e Spagnoli e che portò al dominio aragonese sul Regno di
Napoli, Montecassino attraversò un periodo di ripresa, entrando a far parte del
Regno. L’Abbazia viene ristrutturata e ingrandita, assumendo la sua definitiva
configurazione. Nella ripresa culturale di questo periodo va segnalata
l’attività dello storico Erasmo Gattola, autore della Historia e delle
Accessiones.
Nel 1796 in Italia scendono i Francesi e costringono
l’esercito napoletano ad accamparsi lungo la linea di confine segnata dal fiume
Liri. Il re e la regina di Napoli si stabiliscono sull’Abbazia di Montecassino,
che, per di più, dovette contribuire anche alle spese di guerra. Nel 1798 i
Francesi infaustamente entrarono in Cassino, allora S. Germano, dandosi ad una
vergognosa indegna attività di saccheggi, incendi, devastazioni, sevizie. Il
culmine delle barbarie lo raggiunse il famigerato generale Championnet, che
pretese dal Monastero una contribuzione alle spese di guerra con la consegna di
tutti gli oggetti d’argento comprese le statue di San Benedetto e Santa
Scolastica, fino allo scempio finale di devastazione totale dell’Abbazia, di cui
si salvarono solo le mura. A Napoli si insediano i Francesi con Giuseppe
Bonaparte, il quale abolisce la signoria feudale e ordina la soppressione degli
ordini religiosi, con la conseguenza, per l’Abbazia, di perdere i privilegi
feudali e la stessa istituzione monastica. Con la dipartita dei Francesi
dall’Italia, dopo Waterloo il Monastero ebbe una certa ripresa. Durante il Regno
d’Italia, Montecassino perse la personalità giuridica e il possesso giuridico
dei beni. Il Monastero divenne Monumento Nazionale, passando così al demanio. Ai
monaci fu lasciato il diritto di custodia dell’Abbazia e relativi beni
culturali. La perdita dei beni temporali non fu poi un gran male per l’Ordine
Benedettino, che anzi ci guadagnò riacquistando la originaria spiritualità, una
rinnovata dignità e un nuovo impulso culturale.
La quarta distruzione fu la più tragica, la più
assurda, tra il 15 e il 18 febbraio del 1944, quando caddero su Montecassino
tonnellate di bombe, incessantemente, fino a macinare pietra su pietra, marmo su
marmo, intonaco su intonaco, oro su oro, libro su libro, tutto quello che per
quasi un millennio e mezzo la cultura e il lavoro benedettino avevano costruito
di bello, di grande, di santo. La guerra! Forse anche un errore di tattica
militare. Sicuramente un ennesimo atto vandalico, a torto o a ragione. Viene da
ricordare ancora una volta che, come spesso e altrove, quod non fecerunt
barbari fecerunt Barberini. Rasa al suolo l’Abbazia, dopo il bombardamento
del 18 febbraio, i Tedeschi erano ancora lì, incolumi, a piazzare le loro
mitragliatrici e artiglierie, che vomitarono fuoco ancora per tre mesi, fino al
maggio successivo. Bisognerà radere al suolo l’intera città di Cassino e molti
paesi circostanti, tra cui Piedimonte S. Germano, Cervaro, prima di spezzare la
Linea Gustav e aprire agli Alleati l’accesso a Roma e quindi alla Liberazione.
Ma dalle sue ceneri ancora una volta la fenice
risorgerà. Forse più appropriatamente, della celebre Abbazia direbbero i
Benedettini: succisa vire scit. In effetti, Montecassino è stata
ricostruita, forse reincarnata, miracolosamente, lì, nel suo posto originario
“com’era e dov’era”. Gli Abati della ricostruzione sono stati Idelfonzo rea,
Martino Mastronola, Bernardo D'Onorio.
L'attuale Abbazia, il cenobio più celebre del mondo,
è un trionfo di fede e di civiltà, la sfida più superba e titanica contro
l'insana potenza dell'odio e della guerra |