Nel Paleolitico la
presenza dell’uomo è scarsamente documentata. I pochi manufatti
litici ricavati da ciottoli di selce e calcare con un solo bordo
tagliente, rinvenuti a Castro dei Volsci e Ceprano, testimoniano
stanziamenti occasionali di genti che, nell’ultima glaciazione,
preferivano cacciare nelle zone pianeggianti delle valli del Sacco e
del Liri. Recenti rinvenimenti nei dintorni di Frosinone e
Roccagorga di frammenti di ossidiana risalenti al Neolitico
attestano l’esistenza di una rotta dalla piana pontina fino all’area
frusinate con probabili insediamenti nelle zone interne dei Lepini.
Al
successivo Eneolitico risalgono alcuni resti relativi a sepolture e
villaggi rinvenuti nella zona compresa fra la valle del Sacco e le
pendici occidentali dei monti Ernici, in particolare ad Anagni,
Ceccano, Aquino e Rocca d’Arce.
(nella foto a lato, resti di
mura poligonali a Rocca d'Arce)
Si presume che possa farsi
risalire al periodo di passaggio dall’Età del bronzo a quella del
ferro la nascita dei primi villaggi legati ad un’economia incentrata
essenzialmente sulla pastorizia e sull’agricoltura. Il rinvenimento,
in questi ultimi decenni, di resti di abitazioni nelle vicinanze di
Alatri e Frosinone sembrerebbe confermare questa ipotesi. Vari
furono i popoli che si stabilirono nel corso dei secoli nelle terre
ciociare: dagli ernici che si stanziarono nella parte orientale
della regione ai volsci che si attestarono nella zona occidentale.
Questi ultimi strinsero in seguito alleanza con gli equi che erano
scesi fino a Palestrina e marciarono insieme contro Roma. Nel 493
a.C. gli ernici, per difendersi dai volsci e dagli equi, entrarono a
far parte del Foedus Cassianum, un patto che li legava a Roma
e ai latini del Latium Vetus col dovere di aiuto reciproco in
caso di attacco nemico. L’alleanza fra romani ed ernici durò circa
un secolo. Successivamente un nuovo popolo invase la Ciociaria: i
sanniti. Essi minacciarono di sopraffare volsci ed ernici che si
allearono con Roma per sottomettere gli invasori.
Con la
seconda guerra punica tutti i popoli si unirono tra loro riuscendo
in tal modo a sconfiggere il nemico. Roma, più potente per forza
militare e più preparata nell’organizzazione di uno stato, ebbe il
predominio sulle altre genti accomunando le al proprio destino ed
espandendo il suo dominio su tutta l’Italia centro-meridionale. Fu
allora che la regione, non compresa nel Latium Vetus,
limitato dal Tevere ai Colli Albani, prese il nome di Latium
Novum o Adiectum, nome che conservò fino alla caduta
dell’Impero romano d’Occidente.
Durante
il periodo delle invasioni barbariche venne costituito il Ducatus
Romanus il cui territorio comprendeva a nord la valle del Tevere
e a sud si estendeva “usque ad centesimum lapidem” cioè fino
a Sora e Gaeta. Con l’invasione longobarda la zona compresa fra i
Colli Albani e il Garigliano prese il nome di “Campagna” mentre la
fascia costiera dal basso Tevere al Circeo assunse il nome di
“Marittima”.
Dopo la
fondazione del Sacro Romano Impero si ebbe l’unificazione delle due
zone con la creazione della provincia di Campagna e Marittima alle
dipendenze del pontefice e avente come capoluogo Frosinone. Nel
1836, Gregorio XVI (1831-1846) rese autonoma la zona Marittima
assegnandole come capo luogo di circondano Velletri. Dal secolo
XVIII entrò nell’uso comune la denominazione di Ciociaria il cui
territorio, nel 1870, venne incorporato nella provincia di Roma.
Il 6
dicembre 1926 il Consiglio dei ministri deliberava la costituzione
di 17 nuove province fra le quali Frosinone con 117 comuni ridotti a
86 con il regio decreto del 2 gennaio 1927. I comuni tolti alla
nuova provincia di Frosinone passarono a quella di Roma e
successivamente a quella di Latina.
Anche
se la moderna critica archeologica definisce romani i lunghi tratti
di mura ciclopiche o poligonali esistenti in varie località, la
leggenda, avvalorata in parte dalla mitologia greca e in parte
richiamata dagli scritti di antichi storici, attribuisce la
fondazione di alcune città della Ciociaria al mitico popolo dei
pelasgi.
Secondo
una profezia dell’oracolo di Dodona, tramandataci dagli storici
Varrone e Dionigi di Alicarnasso, il lungo peregrinare del mitico
popolo dei pelasgi sarebbe terminato quando essi avessero trovato
un’isola galleggiante. Quella sarebbe stata la loro terra. Lì
avrebbero fondato le loro città.
L’archeologa Marianna Candidi Dionigi nel suo libro “Viaggio in
alcune città del Lazio che diconsi fondate da re Saturno profugo” (Alatri,
Arpino, Ferentino, Anagni ed Atina) ci offre un’accurata descrizione
di queste città dette anche saturnie o ciclopiche perché circondate
da mura che, per le loro gigantesche proporzioni e per le dimensioni
dei blocchi di pie tra impiegati potevano essere state costruite,
secondo l’immaginazione popolare, solo da esseri fortissimi come i
ciclopi, figli del cielo e fratelli di Saturno.
Il
monumento più imponente è l’acropoli di Alatri, la cui
spettacolarità ha destato e continua a destare l’ammirazione di
chiunque si rechi a visitarla. Gregorovius nelle sue “Passeggiate
in Italia” non nascondeva la sua meraviglia. Meraviglia più che
giustificata poiché gli enormi blocchi di pietra, levigati
esternamente e sapientemente incastrati gli uni con gli altri, non
presentano il minimo interstizio producendo l’effetto di un
gigantesco mosaico lavorato con la massima precisione. I piani di
posa dei monoliti, inoltre, sono sfalsati sia in orizzontale che in
verticale, conferendo al la struttura un carattere essenzialmente
antisismico.
Sull’architrave della porta minore dell’acropoli sono scolpiti tre
falli che Erodoto, nel secondo libro delle sue “Storie”, afferma
essere simboli dei pelasgi.
Ad
Arpino, a circa 3 chilometri dal moderno centro abitato, sulla
sommità di un alto colle, dal quale si gode uno splendido panorama
sui campi sottostanti, sorgono i resti dell’acropoli alla quale si
accede attraverso una porta ogivale, che stupisce per la tecnica
costruttiva.
A
Ferentino, nella poderosa cinta di mura poligonali, eseguite in
parte addossando i blocchi al vivo taglio della roccia, si apre la
Porta Sanguinaria nella quale, oltre l’opera poligonale, si
evidenziano anche tecniche costruttive risalenti ai romani e al
Medioevo.
Resti
di mura poligonali sono visibili ad Atina e Anagni.
(Arpino, Porta ogivale)
(foto Bernardo Di Folco) |