Cucina povera nell'antica Ciociaria

 

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CUCINA POVERA

Cucina povera dell' antica Ciociaria

   

    La storia della cucina cosiddetta povera o matriarcale o rustica inizia e procede, si può dire, con la storia stessa dell'uomo, profondamente collegata con lo sviluppo dell'agricoltura. Infatti, quando il contadino cominciò ad abbandonare le campagne (questo esodo, sia pure con moto alterno, non è mai cessato in 2000 anni), il rallentamento dell'agricoltura contribuì a generare crisi economiche che portarono allo scompiglio in tutti i settori dell'economia, compreso, naturalmente, quello dell'alimentazione.

    Cucina ricca e cucina povera hanno sempre avuto la loro importanza nell'economia di uno stato: negativa la prima, troppo raffinata, sfarzosa e abbondante; positiva la seconda, sobria e schietta.

    Non di rado, infatti, gli eccessi dei ricchi nella gastronomia hanno, sia pure in parte, contribuito a provocare crisi nell'economia.

    Poiché oggi l'argomento è più che mai attuale, il ritorno ad una cucina essenziale come la sapevano preparare le donne di casa dei tempi passati potrebbe rappresentare il raggiungimento di un giusto equilibrio, affiancato alle conoscenze attuali nel campo dell'alimentazione.

    Nel nostro secolo, durante due guerre, una più cruenta dell'altra, la cucina matriarcale ha subito privazioni simili a quelle del Medioevo, aggravate dalla sofisticazione alimentare, dovuta al progresso chimico: quello stesso che, ritornata la pace, oggi è il fortunato autore dei surgelati, liofilizzati, cibi precotti, omogeneizzati ecc., benemeriti gli ultimi arrivati nella gastronomia moderna, imprescindibile artefice della cucina consumistica. Quello stesso che oggi contribuisce a rendere ancora più auspicabile il ritorno alla buona, economica, saporita cucina di casa. Un piacevole ritorno alla «terra», alle usanze del passato, alle ricette cucinate con passione, quelle che qualche nonna, ancora oggi, cuoce sul fuoco moderato della nostalgia. Un ritorno alla cucina tradizionale, forse una ideale difesa di fronte ad una nuova epoca.

    Considerando quanto sopra esposto, abbiamo voluto risentire, dalla viva voce di donne ottantenni, la composizione di piatti unici, semplici, economici e saporiti che esse stesse preparavano, all'inizio di questo secolo, per le loro famiglie. Piatti unici che costituivano il pasto completo e che fornivano, a volte, solo poche calorie e pochi grammi di proteine vegetali.

     Pensando che l'italiano di oggi si nutre in maniera eccessiva e troppa sofisticata si è voluto, con questo lavoro, cominciare una fedele ricerca di alcune di quelle ricette che sono state l'indiscusso «campo di battaglia» delle nostre nonne.

    La ricerca, che continuerà in seguito in altre regioni italiane, abbiamo voluto iniziarla nel Lazio e precisamente in quella zona stretta tra le due grandi città di Roma e Napoli che ha saputo conservare antiche tradizioni: la Ciociaria.

    Malgrado gli inevitabili cambiamenti dovuti alla vita moderna, è ancora vivo, in questa zona, il ricordo di una vita contadina sana e ingenua, ma anche dura e povera, sopportata da gente che ha una grande forza d'animo, tenacia, ottimismo.

    Una popolazione estroversa, cordiale e ospitale.

    La Ciociaria, con i suoi monti e le sue colline, è certamente una zona ridente, ma la sua gente, dedita in passato per oltre il 90% all'agricoltura, menava vita grama, perché non vi erano grosse distese coltivate a grano, mancavano gli uliveti e scarsa era anche la produzione di vino.

    L'industria era limitata a qualche cartiera (Isola Liri, Ceprano, Atina) e a qualche modesto lanificio.

    Ma come si nutriva questa popolazione?

    Nell'antica vita contadina i piccoli erano tenuti al seno materno per un periodo variante dai 15 ai 18 mesi, un tempo eccessivo per i concetti moderni, ma non dimentichiamo che in passato questa abitudine era molto diffusa in tutti i paesi e inoltre le donne ciociare erano famose, in tempi in cui no si conosceva l'alimentazione artificiale, come balie, tanto che molte andavano a Roma ad esercitare questa loro funzione così nobile e vitale.

    I primi problemi alimentari sorgevano all'epoca dello svezzamento: infatti, al latte materno, si sostituivano zuppe di pane cotto in acqua con aggiunta di latte o di siero o di ricotta. Si creava quindi un sistema di alimentazione assolutamente insufficiente e la mortalità infantile aveva punte che arrivavano al 34%.

    Cosa insolita, per un paese del Sud, era alto il consumo di farina di mais e l'uso di grassi animali (strutto, ventresca, lardo) invece dell'olio. Questo perché, nei piccoli appezzamenti di terreno, di preferenza si coltivava il granturco, gli uliveti erano scarsi e ogni contadino sopperiva con l'allevamento del maiale, che, oltre ai grassi necessari per condire, forniva la carne da conservare per l'inverno (salsicce e prosciutto), unica fonte di proteine animali unitamente a quelle fornite dal consumo saltuario di pecora o di castrato.

    Naturalmente, per l'alimentazione, erano largamente impiegate le verdure (broccoli, cavoli, cicoria, broccoli di rapa) e i legumi (fagioli, lenticchie, fave); abbastanza diffuso era anche l'uso di aringhe salate e baccalà.

    Non sempre la giornata cominciava con la prima colazione, la quale, se consumata, consisteva in una fetta di pane, spesso giallo, di farina di granturco, con olive o frutta secca.

    Il latte, se era prodotto, veniva dato ai bambini ed il resto venduto o utilizzato per fare ricotta e formaggio.

    Generalmente il pranzo era consumato sul luogo di lavoro e consisteva in un piatto unico, messo in un recipiente comune, un piatto di terracotta, al quale attingeva tutta la famiglia.

    I piatti più spesso cucinati erano la «minestra», la «pizza revotata», i «taglierini e fagioli», la «polenta», la «zuppa di baccalà». A cena, generalmente, veniva consumato il cibo avanzato del pranzo e riscaldato in padella. Di frequente venivano preparati i «maciotti». Quando non erano state vendute, si mangiavano le uova.

    La carne, appannaggio di pochi e solo nei giorni di festa, era quasi sempre di castrato o pecora o capra, oppure di qualche animale da cortile. Essa non veniva venduta nei pubblici esercizi, ma proveniva da macellazioni private, le quali soddisfacevano i bisogni, oltre che del proprietario della bestia, di occasionali acquirenti, in genere del vicinato.

    A Natale, per la vigilia, venivano fatte delle frittelle, i «tortene» che ancora oggi la maggior parte delle famiglie, per conservare la tradizione, prepara.

    Per la Pasqua, invece, veniva confezionato un dolce casalingo chiamato «pigna». Anche questo dolce viene confezionato tutt'ora per questa ricorrenza, con delle modifiche apportate alla ricetta originale, la quale è stata arricchita con altri ingredienti più raffinati.

    Le informazioni necessarie per la realizzazione di questa ricerca sono state raccolte intervistando donne anziane (70-80 anni) di Colfelice e di altri paesi della Ciociaria. Esse hanno fornito la composizione di molte ricette caratteristiche: piatti semplici di chi, oltre a preparare da mangiare, deve accudire anche alla terra ed al bestiame, ma anche piatti un pò più elaborati per la festa del Patrono o della Natività o della Resurrezione.

    Spesso questi piatti sono stati ricucinati per noi, per permetterci di conoscere, oltre agli ingredienti usati, anche la quantità degli stessi ed il modo di preparare e cuocere le pietanze, per poter il più possibile dedurre se il modo di nutrirsi di allora, in gran parte tramandato e ricorrente ancora oggi in larghi strati della popolazione ciociara, fosse sufficiente, dal punto di vista qualitativo e quantitativo, per far fronte ai bisogni quotidiani dell'individuo.

    I comuni considerati in questo lavoro (Colfelice, Acquafondata, Arce, Alatri, Vico nel Lazio e Guarcino) sono disposti su una linea pressappoco longitudinale (vedi cartina) che, attraversando tutta la terra di Ciociaria, tocca molte località caratteristiche, per quanto riguarda le tradizioni, le usanze, i modi di vivere e di alimentarsi.

    Queste differenziazioni locali bene si inseriscono comunque nella visione generale che si è voluta avere di questa terra e che costituiscono lo scopo di questo lavoro.

    Vengono riportate ben 25 vecchie ricette (tra queste alcune sono di dolci), con l'indicazione degli ingredienti e del procedimento di preparazione. La trattazione è completata da tabelle, per singolo piatto, nelle quali è indicato il valore nutritivo di una porzione.

 

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