Fuori della Porta di Napoli vi sono due chiesette
di impianto originario cinque-secentesco: la prima, ottagonale, è quella di
San Pietro Martire (già di San Folco), con un affresco nella lunetta in gran
parte intonacato; la seconda è quella di San Rocco, restaurata ed ampliata
nel secolo XVIII.
PERCORSO STORICO-ARCHEOLOGICO
Si prende la deviazione per la “Valle”. A circa
m. 200, in loc. Majoffe o Majolfe, si giunge ad una cisterna romana, in
buone condizioni di conservazione, con murature in opus caementicium. Essa
presenta pianta rettangolare e aveva una volta a botte. La sinistra, qualche
ridotto tratto murario e frammenti fittili sono referibili ad una villa di
età romana, situata lungo un percorso della stessa epoca, di cui sono ancora
visibili tratti di basolato e basoli isolati.
Più oltre, compiendo una breve deviazione in
località Barbanera, si osserva una tagliata strada le terrosa, con frammenti
di orci e di tegoloni pertinenti a sepolture romane. Continuando lungo la
strada, in contrada Valle, al Km. 3, effettuando ancora una breve deviazione
sulla sinistra, si perviene all’antichissima chiesetta di San Lorenzo,
restaurata pochi anni or sono. Questa chiesetta, alla quale si riferivano
proprietà terriere, è citata sia nelle decime del 1308-1310 che in quelle
del 1325. Sull’architrave del portale si notano alcune lettere solo in parte
decifrabili. Sembra di scorgere, con grafia greca, le seguenti lettere in
successione Sare (=Sara). Potrebbe trattarsi di un’iscrizione rinnovata di
origine greco-bizantina.
Presso la chiesetta di San Lorenzo, sono stati
raccolti circa 30 frammenti protostorici, arcaici e romani. Quelli più
antichi presentano molteplici confronti con esemplari di ambiente volsco di
Vicalvi, Isola Liri, Frosinone e Rocca d’Arce e sono databili dal VII al IV
secolo a.C. . Fra i pezzi ceramici romani si distinguono due frammenti di
coperchi a vernice nera di età repubblicana e altri frammenti di epoca
imperiale. Non mancano reperti medievali.
La tipologia dei rinvenimenti, che confermano
una prolungata frequentazione attraverso i secoli, fa pensare alla
possibilità che la chiesetta di San Lorenzo, come quella di Sant’Amasio
(Arpino), sia stata preceduta da un luogo di culto preromano e romano.
Dopo la chiesetta di San Lorenzo, attraversate
la zona di Santa Maria Giacoma (dove forse esisteva una chiesetta omonima,
ricordata dal Cayro come esistente agli inizi del 1500) e la località
“Poste” (caratteristico toponimo di origine pastorale, che indicava un luogo
di sosta per le greggi in movimento), si giunge al ponte della Valle sul
fiume Melfa. Questo ponte, di origine romana, era già in rovina nell’alto
medioevo; il materiale fu reimpiegato per il ponte Vecchio (sec. XIII), che
fu fatto saltare dai Tedeschi e venne poi interamente ricostruito. Si
prosegue quindi per Roccasecca.
ALTRI ITINERARI
Il più pittoresco degli itinerari possibili è
quello, già descritto nel capitolo sulle acque (vedi infra), che dal
ponte sul Melfa si inserisce nella strada proveniente da Roccasecca per
Casalvieri, lungo il vallone dello stesso fiume.
Particolarmente interessanti sono le vie antiche
rintracciabili da Arpino verso Santopadre e da qui in direzione di Aquino.
Un primo tracciato attraversava la località
Decime, dove secondo un documento del X secolo, era visibile una petra
scuipta (forse un rilievo appartenente ad un monumento funerario).
A 4,5 Km., ai confini fra i comuni di Santopadre
e Roccasecca, si raggiunge una località di notevole importanza archeologica,
alle falde del Colle Campeo. E’ probabile che qui sorgessero in epoca romana
un piccolo tempio dedicato alla dea Cerere Helvina e la villa del poeta
satirico Decimo Giuno Giovenale, ipotesi queste che sono state avanzate da
alcuni storici sulla scorta di due iscrizioni (C.I.L., X, 5382, successiva
al 79 d.C., e 5426), rinvenute sul posto, ma attualmente disperse. Vi si può
tuttora osservare la base di una villa rustica romana, con muri in opera
poligonale di quarto tipo, mentre nei pressi alcuni anni fa sono stati
raccolti notevoli frammenti di vasi (fra cui ceramica a vernice nera di età
repubblicana). Ad alcune decine di metri, sorge la diruta chiesa di San
Pietro in Campea con monastero (testimoniata a partire dal sec. XIV). La
chiesa presenta un porta le con stipiti calcarei (sormontato da una
lunetta), 5 finestre di stile gotico e un vano interno (lung. m. 16,60)
lastricato. Gli affreschi del XIV secolo, un tempo presenti nella chiesa,
sono ormai quasi scomparsi. La parte inferiore di una figura umana è
conservata in una fotografia del 1976. Ugualmente scomparso un dipinto di
San Pietro (sullo sfondo dell’altare), già restaurato nel 1855.
Da San Pietro di Campea si poteva raggiunge re
Aquinum o deviare verso Arce e Rocca d'Arce per il passo dei Fraioli, al
quale si riferisce un’altra iscrizione romana (C.I.L., X, 5674, funeraria).
A Roccadarce, da Santopadre, si poteva arrivare anche seguendo un percorso
più a nord, a ridosso di una zona con frequentazione romana: località Colle
Pizzuto (iscrizione funeraria C.I.L., X, 5668) e Calassiti (area di reperti
fittili).
Sulla strada proveniente da Monte Nero, nel
locale cimitero, sull’esterno della chiesetta della Madonna della Pace, si
può ammirare, in un tondo, un pregevole dipinto con iscrizione in caratteri
gotici (già pubblicato nel 1989, ma rovesciato per un errore tipografico).
Un viaggiatore svizzero, il Conte Carlo Ulisse
De Salis Marschlins, nel 1789, durante un suo viaggio nel Regno di Napoli,
ebbe modo di attraversare il territorio di Santopadre, per recarsi ad Arpino
e così scrisse, in quell’occasione, le sue impressioni, non certo positive
per quel periodo: “Da Monte Cassino proseguimmo attraverso la su menzionata
vallata per dieci miglia, sino a Roccasecca, di dove cominciammo ad
inerpicarci sovra un monte per raggiungere Santo Padre, proprio al vertice,
a quattro miglia di distanza da Roccasecca.
In questo punto il territorio, sempre
appartenente al convento, è poco coltivato ed è coperto in maggior parte da
querceti; poiché la nutrizione e l’allevamento dei suini sembra essere la
principale occupazione, dalla quale traggono sussistenza gli abitanti. Le
donne sono anche impiegate nel ripulire le canape con macchine di legno,
comuni anche nella parte settentrionale d’Italia.
Aspetti tristi e malinconici, vestiti dimessi, e
capanne quasi in rovina non indicano alcun benessere fra queste popolazioni.
Così come dimostra l’apparenza, la montagna su
cui si eleva Santo Padre, consiste in maggior parte di argilla; ma la sua
sommità è ricoperta da uno strato piuttosto fitto di pietra liscia, composto
quasi intieramente di blocchi di pietra calcarea levigati e mischiati
insieme. Lascio la spiegazione e l’origine di tutto ciò ai geologi; ma
osserverò soltanto che molte alture degli Appennini dimostrano i segni
evidenti ed indiscutibili di immense inondazioni.
Il paese, costruito con questa pietra speciale,
non offre niente di rimarchevole; e ringraziamo un ospitale cittadino,
seduto patriarcalmente davanti alla sua porta, che ci invitava
insistentemente di soffermarci nella sua casa e prendere qualche ristoro,
perché avevamo fretta di fare le altre quattro miglia, che ci dividevano da
Arpino, dove arrivammo seguendo un’orribile strada, e non senza pericolo per
la nostra vita”. |