Il 994 è l’anno di nascita di Roccasecca.
Il 1994 è stato il suo millesimo genetliaco:
Roccasecca ha compiuto mille anni.
Mille anni di storia, intensi, pieni di eventi,
sempre tesi in avanti, alla conquista del progresso culturale, politico, civile,
sociale. ed economico.
Nel campo della cultura ci limitiamo ad alcuni punti
cospicui.
Nel primo periodo della sua vita, per i primi cinque
secoli, Roccasecca vive il mondo civile e culturale benedettino, dell’Abbazia di
Montecassino, di cui faceva parte integrante. Nel fervido clima della
Controriforma cattolica, Roccasecca fu destinata a sede di un Seminario. Nella
seconda metà del secolo XVIII fu decretato il trasferimento della Residenza
Vescovile, del Tribunale Vescovile e dell’Archivio da Aquino, infestata
dall’aria e dal clima malsani, a Roccasecca, che vantava, e vanta, aria salubre
e clima mite. Legati alla memoria culturale di Roccasecca, bisogna considerare
il cardinale Antonio Maria Cagiano de Azevedo e il suo discendente, archeologo e
scrittore, Michelangelo Cagiano de Azevedo. Della famiglia Cagiano de Azevedo
resta il palazzo della Moscellara, riusato prima come sede di Casa di Riposo e
poi come albergo.
Il Convento domenicano, edificato nel 1478, per
munifica volontà di Beatrice Caetani e di Antonella d’Aquino, presso la Chiesa
di San Tommaso, fu sicuramente centro culturale di studi e di predicazioni. Lo
stesso dicasi per i due più modesti conventi benedettini di San Pietro a Campea
e di San Vito sul Melfa. Anche questi piccoli cenobi, sull’esempio dell’Abbazia
di Montecassino, fecero e diffusero cultura, nell’ideale della preghiera e del
lavoro: ora et labora.
“Signora” del feudo di Roccasecca fu la poetessa
Vittoria Colonna, vedova a trentacinque anni di Francesco Ferrante, il famoso
marchese di Pescara che sconfisse il re di Francia Francesco I a Pavia. Fu in
questa circostanza che Francesco I scrisse alla madre, Luisa di Savoia, le
famose parole “tutto è perduto fuorché l’onore”.
Tra i fatti e i personaggi a valenza culturale, in
tempi più recenti e contemporanei, possiamo annoverare il Dopolavoro
Ferroviario; la gloriosa Banda; il pittore Celestino Tanzilli; il famosissimo
flautista Severino Gazelloni; il giurista, professore dell’Università di Roma,
Mario Gallo; il regista Filippo Torriero; il docente universitario di Diritto
Romano, giurista e consigliere della Corte dei Conti, Ferdinando Izzi;
l’archeologo, docente dell’Università di Perugia, Filippo Coarelli; l’atleta
Franco Fava; il prof. Dario Ascolano, autore di quell’appasionata e colta opera
che è la Storia di Roccasecca.
Ma il maggior polo di interesse culturale, a
dimensione mondiale, gravita attorno alla figura e all’opera di San Tommaso
d’Aquino.
Nel campo della vita politica e civile, Roccasecca
merita il riconoscimento di una costante tensione al progresso, a costo di
grandi sacrifici e di eroismi, in ogni tappa significativa del suo millennio di
vita. Nata quasi per caso, come castello di fortificazione a salvaguardia della
donazione di Monte Asprano, Roccasecca, attraverso alterne vicende, nel XIII
secolo era già Universitas e, nel XV, libero Comune. In questo stesso
secolo Roccasecca Castello si amplia nelle sue due frazioni: Valle, che sarà
l’attuale “Centro”, e Caprile.
Al tempo della Rivoluzione Napoletana contro i
governatori spagnoli e contro la nobiltà che vessavano il popolo con tasse
sempre più insostenibili, Roccasecca scrisse pagine di storia, con la
partecipazione di Domenico Colessa di Alojsio di Caprile, detto Papone,
personaggio inquieto e discusso, tra il brigante e l’eroe, sicuramente
leggendario e forse inconsapevole coraggioso interprete della ribellione
politica popolare contro la cieca ed ottusa autorità “regnicola”.
Nell’Ottocento, Roccasecca partecipò attiva mente
alla vita politica locale e italiana suddivisa tra napoleonici e borbonici,
liberali e antiliberali. In questo contesto si iscrive l’opera di Felice Amati,
nato a Roccasecca nel 1762, morto a Napoli nel 1843. Felice Amati rivestì le più
alte cariche amministrative ed onorifiche della corte napoletana, prima e dopo
la Restaurazione. Ferdinando I lo nominò ministro delle Finanze. Francesco I lo
nominò vicario generale del Regno e poi ministro degli Affari Interni. Fu
insignito dell’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine Reale delle Due Sicilie,
della Medaglia di Onore per la Guardia di Sicurezza Interna, del titolo di
marchese e altri ancora.
Vanno anche ricordati episodi significativi della
attiva partecipazione di Roccasecca alle opposte tendenze politiche del tempo,
divise tra borbonici e antiborbonici. Tra i patrioti antiborbonici troviamo Don
Pietro Meta, che fu “imputato difatti politici”; Tommaso Frezza, che fu trovato
in possesso di” corrispondenza criminosa” e arrestato; A. Panzini, che fu
accusato di essere un “rivoluzionario politico”; N. Barone e compagni, che
furono accusati di “essere in possesso di armi e di sobillare la popolazione”.
Il Risorgimento richiese il contributo attivo e
perfino eroico di Roccasecca. Al patriota Benedetto Patamia è intitolata una
piccola piazza del paese. Un vicolo è intitolato al carbonaro Raffaele
Giovinazzi. Dopo la restaurazione di Ferdinando I, con l’abolizione della
Costituzione del 1920, il governo borbonico perseguitò duramente i carbonari,
come figura in elenchi, contenenti oltre ottomila carbonari, conservati
nell’Archivio di stato di Napoli. Tra di essi, troviamo “ Giovinazzo Federico,
di anni 30, prete, uno dei primi protagonisti del carbonarismo, e rubricato
nella processura della nuova riforma di Francia, di pessima opinione presso il
pubblico”. E poi troviamo “Notarangeli Celestino, di anni 30, legale, conosciuto
settario, nel nonimestre vestì l’uniforme rivoluzionaria col grado di tenente”.
Nell’età fra le Due Guerre, Roccasecca partecipa da
protagonista, si può dire, ai movimenti politici dell’epoca, contribuendo non
poco agli avvenimenti di ispirazione popolare e socialista. Nel 1906, a
Roccasecca si tiene il Quarto Congresso del Partito Socialista della Provincia
di Terra di Lavoro. In questo Congresso, cui partecipa l’avv. Bernardo Nardone
di Arce con ruolo di leader, prende avvio nel Partito l’ideologia sindacalista,
per cui nasceranno subito le prime Leghe, organizzando in strutture sindacali i
lavoratori della terra. Come non menzionare la partecipazione delle donne
roccaseccane alla vita politica e amministrativa in forma diretta’? Nel 1917,
ben cinquecento donne occuparono il Municipio per contestare la cattiva
amministrazione, il caro viveri e la guerra che allontanava i loro uomini dalla
famiglia e dal lavoro, le pessime condizioni di vita. NeI 1920 si tenne il
Congresso Provinciale Socialista, ancora a Roccasecca, in cui l’avv. Bernardo
Nardone sostenne la corrente “comunista” di Bordiga: si arriverà presto alla
Scissione di Livorno, da cui nascerà il Partito Comunista. Il Congresso di
Roccasecca ebbe larga eco e fu ritenuto responsabile del “pericolo rosso”.
L’indomani del Congresso una folla di ottocento persone dallo Scalo salì verso
la sede del Comune, per scacciarvi squadre fasciste che l’avevano occupata; ma
il corteo fu fermato alle porte del paese da un plotone di più di duecento
carabinieri. Scontri violenti sciamarono in episodi sparsi, tra contadini
socialisti e squadre fasciste spalleggiate dalle conniventi forze dell’ordine.
Il Ventennio fascista troncò violentemente ogni
forma d’espressione ed emancipazione politica; furono dispersi i protagonisti di
quel movimento socialista degli anni Venti, che pure contribuì molto al
progresso politico, civile e sociale. Natalino Patriarca, di Roccasecca, fu
sottoposto al regime di vigilanza speciale. Nel contrasto fascismo-antifascismo,
Roccasecca ebbe espressioni significative, a proposito della Guerra di Spagna. A
sostenere il fascismo spagnolo del generale Franco partirono anche dei
roccaseccani, di cui conosciamo tre nomi: Alfonso Delli Colli, caduto in Spagna,
Antonio Giacomobono, Basilio Torriero. Fino a che punto questi combattenti per
il fascismo ne fossero consapevoli e convinti non siamo certi di saperlo.
Sappiamo di sicuro che i metodi di arruolamento dei “volontari” di Mussolini
erano fin troppo subdoli per poter giudicare quei “combattenti”. Più dichiarata,
libera, generosa fu la partecipazione ciociara alla lotta antifascista contro
Franco, in cui ritroviamo i roccaseccani Tommaso De Carolis e Angelo Di Litta.
In campo economico, Roccasecca si è sempre distinta
nell’agricoltura, nell’artigianato, ma, specialmente in questi ultimi tempi, nel
commercio.
L’agricoltura è stata l’occupazione primitiva e
costante, fino all’attuale epoca post-industriale.
In età paleolitica, documentata da ritrovamenti alle
pendici del Monte Asprano (frecce di pietra appuntite), si viveva di caccia e di
pesca. Le acque erano molto abbondanti: la portata del fiume Melfa doveva essere
almeno dieci volte maggiore di quella attuale. La pianura era interessata alle
acque di quello che era il lago di Aquino. La vegetazione era di tipo
subtropicale, essendo la zona particolarmente acquitrinosa e umida.
Letà neolitica è testimoniata dal ritrovamento di
una tomba in località Cavone. ‘Una cripta scavata nel colle, ricoperta
interamente di pietra. Vi era steso un cadavere, intorno al quale vi era deposta
una suppellettile funeraria: 3 vasi di argilla e 26 armi di pietra”, così
scrisse il Nicolucci nel 1872, data del ritrovamento. Questo primitivo antenato
dei Roccaseccani viveva sì di caccia, ma aveva già incominciato a coltivare
grano e orzo, a mano a mano che il clima diventava più salubre, in relazione al
naturale prosciugamento delle zone lacustri e acquitrinose della valle del
Sacco-Liri-Garigliano. Iniziò ad allevare animali domestici, a costruire
palafitte e capanne, in ragione delle nuove abitudini di fissa dimora. Le prime
lavorazioni artigianali o, per modo di dire, industriali, erano riferite alla
produzione di vasi di creta e mattoni cotti al sole.
L’età del bronzo, circa mille anni prima di Cristo,
la possiamo ritenere testimoniata nella grotta di fronte al Santuario dello
Spirito Santo, a monte del “Tracciolino”, la strada che da Roccasecca porta a
Casalvieri. Sono apparsi, in questa grotta, resti di ossa di animali e vasi di
terra cotta al sole, la cui tecnica primitiva è rimasta presente nelle nostre
zone, specialmente a Colfelice, a Ceprano e a Pontecorvo, come una millenaria
tradizione artigianale caratteristica. In questa età si affacciano alla storia i
Volsci, rappresentanti primari di quella che possiamo chiamare la nostra Civiltà
Appenninica.
L’età del ferro vede la valorizzazione economica
delle nostre terre a motivo delle miniere del prezioso metallo, alle falde del
monte Meta. Sono testimonianza di quest’età i resti di mura di sbarramento in
località Colle Granaro, porta d’accesso alle miniere del Meta, attraverso la
valle del Melfa. Siamo di fronte alla famosa città di Duronia, di cui parla Tito
Livio come postazione strategica militare che doveva essere conquistata dai
Romani prima di attaccare Cominium, durante la Terza Guerra Sannitica, nel 293
a.C.?
In età romana, il territorio di Roccasecca assume
importanza in ragione della costruzione e dello sviluppo della Via Latina, che
sostituì la Pedemontana. Non fu, però, un grande centro, come Aquinum,
Fregellae, Casinum. Nell’attuale località San Vito, Minonno, Tore, dovette
sorgere il villaggio di Melfel, di cui oggi non restano che incerte vestigia.
Sorto in età imperiale, nel terzo secolo dopo Cristo, il centro venne distrutto
dalle invasioni barbariche. Le attività economiche, in questo periodo, sono
agricole, pastorali, artigianali. Fioriscono la ceramica e la tintoria. Le colture
sono riferite all’olivo, alla vite, al frumento. Fiorenti sicuramente i pascoli.
I boschi appaiono folti di faggi e di lecci.
L’età benedettina è la più fervida per l’attività
economica agricola, da quando Roccasecca entrò a far parte della “Terra
Sancti Benedicti”, come si legge nelle sculture delle famose Porte Bronzee
dell’Abbazia di Montecassino del 1066, in cui figura, insieme agli altri
possedimenti, il nome di Roccasicca. Nasce, Roccasecca, nel 994, come
castello a difesa di Monte Asprano e della stessa Montecassino dalla contendente
Aquino. La struttura, l’organizzazione, i prodotti dell’economia furono quelli
tipici del feudalismo, riveduti e corretti dal monachesimo benedettino, di cui
era considerevole, almeno, un più umano rapporto tra feudatario e contadini. Gli
abitanti aumentano. L’agricoltura è attiva. Prospera l’artigianato e incomincia
a farsi strada quella perticolare vocazione dei Roccaseccani per il commercio.
Alcune Famiglie - documenti dell’epoca ci riferiscono di Pennavario Loreto,
Pennavario Domenico e altri delle loro famiglie - incominciarono ad esercitare
quell’attività ancor oggi tanto diffusa e peraltro abbastanza redditizia, che è
il commercio ambulante. Riportiamo da F. Scandone:« Essi giravano per fiere e
mercati, insieme con i loro garzoni, col più svariato campionario di merci
diverse, dalla ‘capisciola” alla tela d’Olanda ed ai broccati e velluti, dalle
cose commestibili agli oggetti di devozione; persino dalle “storie” (narrazione
di fatterelli in prosa e versi) e dalla “santacroce’ (sillabario) agli aghi,
coltelli, vetrerie, profumi, etc.». E da D. Ascolano: «Forse vendevano già la
ben nota “polvere di Roccasecca”, un estratto di medicinali. Su questo
“toccasana” per ogni malattia giravano, due secoli dopo, varie voci. C’era chi
ne conosceva una ricetta chi un’altra; ma la più accreditata veniva attribuita
ai Ricozzi che vantavano in materia una lunga tradizione familiare che si faceva
risalire a un cappuccino francese di passaggio...».
Un forte colpo di accelerazione, nella vita
economica e sociale di Roccasecca, era stato dato intorno alla metà del XVI
secolo, quando nacquero le frazioni di Valle e Caprile. Il “Castello” era ormai
privo della funzione e del significato per cui era sorto, la difesa di
Montecassino e delle sue Terre dagli assalti dei Longobardi o degli stessi
Aquinati. Subentrò, ormai, il bisogno di aprire l’economia ‘curtense” verso
forme di attività più redditizie, in zone più agevoli, più idonee al lavoro
artigianale e alle attività commerciali, meglio collegate con altri centri. Dal
1500 inizia la storia della nuova Roccasecca. Tra Boncompagni, Borbonici,
briganti, Spagnoli, Francesi, i Roccaseccani riusciranno a superare le prove più
dure, specialmente contro i vari spremitori di tasse (non è finita ancora
oggi!), contro i vari “padroni”, per cui non sono mancati considerevoli
movimenti contadini ed operai, o vistosi fenomeni di emigrazioni,
particolarmente in Francia. Un fattore di considerevole lancio economico fu
prodotto indubbiamente dalla costruzione della Stazione Ferroviaria, nel 1863.
Fino all’età tra le Due Guerre, l’economia di Roccasecca era prevalentemente
rurale, contadina, artigianale, con netta distinzione topografica: rurale e
contadina nella pianura, artigianale nei centri storici di Capoluogo, Castello e
Caprile. Nelle campagne si coltivavano cereali e ortaggi. Nelle zone collinari
si privilegiava la coltura dei broccoli, della vite e dell’olivo. Nelle campagne
irrigate dal Melfa - il fiume aveva ancora le abbondanti acque di Canneto, poi
captate dall’Acquedotto degli Aurunci - si coltivava copioso il granturco e,
nelle zone più prossime a Pontecorvo, il tabacco. Nel Centro - ormai il Centro
si riferisce alla nuova Roccasecca sede del Municipio, a Castello e a Caprile
brulicavano i vari artigiani: maniscalchi, fabbri, sarti, calzolai, bottai,
canestrari, setacciai, facocchi. Essi non solo rispondevano al fabbisogno
locale, ma alimentavano anche i mercati limitrofi, di Arce, Ceprano, Sora,
Cassino, Pontecorvo. Il commercio ambulante, già presente, s’incrementava sempre
di più e si specializzava in tessuti, calzature, prodotti della bachicoltura.
L’attività dei cosiddetti “spezzini” spesso si estese ad una sommersa attività
di cambiovaluta, con i familiari degli emigrati. Per avere idea di quale
consistenza fosse l’artigianato di Roccasecca, basti pensare che fino al
dopoguerra vi si contavano circa dieci sarti. Presso ognuno di essi lavorava più
di un apprendista. Rocco Di Sotto, ultimo “esemplare della specie”, ricorda con
nostalgia quei tempi in cui l’artigiano creava il suo manufatto con arte, con
impegno, con la personale impronta, fino a quando la “confezione” industriale
non ha spersonalizzato il cliente e distrutto l’artigianato. All’ultimo sarto
non resta che fare riparazioni e ritocchi, ma i suoi occhi si illuminano quando
racconta l’età in cui da un informe pezzo di stoffa creava un vestito “su
misura” che “cadeva a pennello”.
Oggi Roccasecca conta 7.622 abitanti, essendo così
uno dei pochi paesi della Ciociaria che in questi ultimi dieci anni registra un
incremento demografico. L’economia è considerevole per il numero di cittadini
occupati nei servizi, soprattutto nelle Ferrovie, nel commercio, nelle industrie.
Il commercio si è reso in gran parte residenziale, con i numerosi negozi di
abbigliamento e di calzature, con gli autosaloni, specialmente diffusi nella
nuova zona di sviluppo dello Scalo. Il Centro Storico, con Castello e Caprile,
ha perso il suo primato urbano, passato, ormai dal Dopoguerra, a Roccasecca
Scalo. Qui si concentra il nuovo sviluppo edilizio, tra il Bivio Casilina e la
Stazione Ferroviaria, qui nascono infrastrutture, qui si investe più facilmente
da parte sia del pubblico che del privato. D’altronde, ci sono i gangli
principali delle vie di comunicazione: la Casilina; la Ferrovia che fa da scalo
tra Cassino, Frosinone, Sora-Avezzano; la fitta rete stradale interna che
collega con il Casello autostradale di Pontecorvo, con la Superstrada
Cassino-Formia, con Pontecorvo e la Leuciana.
Intorno al nuovo nucleo urbano dello Scalo gravita
anche la zona industriale, attiva, vitale, resistente. L’artigianato ha saputo
rivitalizzarsi e riconvertirsi, specialmente nella produzione di infissi, nella
riparazione e manutenzione dei motori, nelle carrozzerie.
L’agricoltura, promiscua ed estensiva nel passato, è
oggi diventata selettiva: granturco, tabacco, ortaggi, vino, olio. Ma è relegata
ormai ad infima posizione, nella economia del paese. Alcune aziende agricole
vivono e qualcuna prospera soprattutto per la forte volontà degli imprenditori,
che si mantengono a dimensione e a conduzione familiare, per lo spirito di
sacrificio dei proprietari che ancora credono ad antichi valori, che ancora
avvertono l’orgoglio della iniziativa per sonale e dell’indipendenza. Abbiamo
assistito ad una giornata lavorativa presso un’azienda agricola: una sana
attività, un movimento di persone e di animali e di mezzi meccanici, una vivace
comunicazione che nel lavoro ha ancora tanta socialità, bambini e giovani che
tornano dalla scuola, un misurato e soddisfacente modo di essere stanchi a sera,
quando si può leggere e vedere la televisione o andarsi a mangiare “una pizza”.
Che peccato se aziende siffatte dovessero essere costrette a chiudere! |