Pastena

 

Provincia di Frosinone, abitanti 1.710, superficie Kmq 42,02, altitudine m.318

HOME

COMUNI

La Storia

Il nome pare abbia origine dal termine latino-medioevale pastinum che sta a significare un terreno lavorato.

Se nei dintorni delle celebri Grotte di Pastena e nella zona sono stati trovati resti del Paleolitico inferiore e dell’Età dei metalli, e la presenza umana sembra documentata fin dentro la stessa grotta, ove vennero trovate ceramiche preistoriche, notizie certe del paese risalgono soltanto a dopo il Mille. Pastena entrò nell’orbita della contea di Fondi, anche se si hanno notizie di una sua donazione all’Abbazia di Montecassino.

Subì assedi nel corso delle innumerevoli .guerre feudali, ma rimase entro la contea fondana fino al tramonto della signoria dei Caetani. Solo verso la fine del Seicento cessò di far parte di Fondi ed in età moderna passò a signori minori. Al la fine del Settecento, Pastena fu uno dei paesi che resistette ai francesi invasori del regno borbonico e per questo il 24 marzo 1799 fu assediato, conquistato e saccheggiato dalle truppe francesi.

 

Abitanti: Pastenesi

Festa patronale: Esaltazione della Croce

Frazioni e Località:Casanova, Grotte.

Comuni limitrofi: Castro dei Volsci, Falvaterra, Pico, San Giovanni Incarico, Lenola.

Distanza da Frosinone Km. 31

Autostrada: A1 Ceprano.

A partire dal 1806, essendo state soppresse le giurisdizioni baronali, dipese direttamente dallo stato napoletano.

Nel corso dell’Ottocento Pastena, trovandosi in una zona vicina al confine con lo stato papale, fu coinvolta nel diffuso fenomeno del brigantaggio.

Il paese è posto su una collinetta, che si erge dai pianori circostanti. Si indovina subito il circuito della terra murata: si distinguono bene torri e tratti di mura. Nella valle numerose sono le casette in pietra e le abitazioni rurali moderne.

L’antico borgo sorge sulla sommità della collina ove si apre una piazza quadrata con la Chiesa di Santa Maria. Questa, restaurata di recente, ha tracce romani che nel portale laterale e un arco gotico nel campanile costruito in pietra.

Nel borgo sono stati realizzati consistenti interventi di restauro e di ristrutturazione.

Nella parte bassa del paese sono conservati un circuito di mura con diverse torri e la Porta romana ancora in vista. Vicino a questa si notano diversi elementi architettonici interessanti: una loggetta del Quattrocento, un arco gotico, finestre a bifora, diversi passaggi coperti, una bella ed antica pavimentazione a sampietrini calcarei. Proseguendo per questa zona del paese si giunge ad una chiesa con una facciata barocca tutta in pietra bianca locale. Gli edifici circostanti hanno portali del Settecento e dell’Ottocento.

Fuori dal paese, sopra una sorta di promontorio sorge il Santuario di Sant’Antonio, che è stato di recente restaurato. Sulla strada per Pico si trova la Chiesa della Madonna del Piano. Sulle montagne è un paese abbandonato, Ambrifi, oggi entro i confini del territorio pastenese, una volta comune autonomo.

Il territorio di Pastena è composto da una grande valle chiusa, già sede di un antico lago: il bacino è frammentato in diverse zone, suddivise da rilievi calcarei, ed è densamente coltivato; attorno le colline, assai boscose, formano una macchia mediterranea mista.

Fra le attività economiche è prevalente quella agricola ma notevoli sono le iniziative nel settore artigianale e commerciale. Nel paese c’è un notevole sviluppo del turismo per le grotte carsiche.

A Pastena si conserva ancora un’interessante cerimonia folcloristica, non ancora trasformata in fenomeno turistico: “Il maggio”. Si tratta di una complessa cerimonia che richiama i riti ancestrali del Calendimaggio uniti alla cristiana festa della Croce. Il 10 aprile si sceglie un vitello sacrificale e il 10 maggio l’albero designato a rappresentare “Il maggio”. La processione dei due totem con la reliquia della Croce di Cristo è il momento cuIminante della cerimonia, che si conclude con l’innalzamento dell’albero ed il sacrificio rituale dell’animale.

Le grotte

La fama del paese è legata alla grotta chiamata anche di San Cataldo o del Pertuso. Si tratta di un interessante complesso scoperto nel 1926 ma valorizzato solo negli anni Settanta. Se la parte anteriore della grotta ha conosciuto la presenza umana sin dalla preistoria e persino durante la seconda guerra mondiale è stata usata come rifugio per i comandi tedeschi e per la popolazione, gli interni sono noti solo da pochi anni grazie all’attività di speleologi romani.

All’esterno appare un grande e pittoresco inghiottitoio: si suddivide in due rami, l’uno ancora attivo per la presenza del torrente Mastro, l’artefice delle grotte, ed il secondo, fossile, che costituisce la parte visitabile del complesso ipogeo.

Il torrente ha forato il calcare del monte Lamia, uscendo dopo oltre due chilometri e formando il Rio Obbico. Il ramo attivo è visitabile solo per 200 metri, ma è stato interamente esplorato dagli speleo subacquei.

La grotta è caratterizzata da un ampio antro, denominato Lago Blu, ove il torrente Mastro forma uno specchio profondo una quindicina di metri, che si riversa per mezzo di una sonora cascata nella Sala dell’Occhialone per proseguire poi nelle viscere della montagna. Il ramo fossile, l’unico attrezzato interamente alla visita, scaturisce dal grande pertugio, il cosiddetto Salone, che penetra nel ventre del monte per diverse centinaia di metri. Questo ramo appare formato da lunghe gallerie e diverse sale, tutte ricche di concrezioni calcaree; vi stazionavano colonie di pipistrelli ed è ancora abbondante la fauna cavernicola.

Sito ottimizzato per IE 4.X o sup. a 800X600 px o sup.
© 2004 arcenews.it