Risale al tempo dei Romani, quando patrizi,
imperatori, generali usavano costruirsi ville sontuose lungo le vie
consolari e nelle località più amene. Villa Euchelia: come quella di Quinto
Cicerone in Arce, di Giovenale a Campea in Roccasecca, di Varrone a Cassino.
E’ situata nel versante sinistro del Fossato che scende dalle falde
orientali di Monte Cairo e a valle del Monte Asprano. Si trattava, dunque,
di una villa romana e apparteneva alla famiglia Equizia. I pochi ruderi,
qualche rocchio, materiale fittile, qualche tratto di tubatura in terra
cotta, un pannello marmoreo appartenente ad una tomba patrizia sono gli
avari elementi, non sufficienti per farne una soddisfacente ricostruzione
storica. La tomba patrizia di cui sopra doveva appartenere ad un militare, a
giudicare dalle armi scolpite in basso rilievo. E stato lo scrittore
architetto Cagiano De Azevedo che segnalò per primo il reperto archeologico,
nel 1949. Apprendiamo da Marcello Rizzello che si tratta di un monumento
funerario del primo secolo dopo Cristo, appartenente ad un ufficiale romano.
“Sul prospetto anteriore a destra, si osserva una corazza di un ufficiale,
che presenta in alto un pettorale composto da due nastri incrociati ad X,
sui quali si dispongono nove falere; una di queste, leggermente più grande,
è sistemata centralmente. Le falere erano decorazioni o dona militaria
minora, concesse per particolari azioni meritevoli di ricompensa.
Consistevano in piastre rotonde, in genere d’argento, con un piccolo umbone
al centro. Esse venivano appunto date in numero di nove ad ufficiali
inferiori, sottufficiali o semplici soldati... Al di sotto si delinea un
largo cinturone a fascia (insegna propria di un ufficiale in età imperiale).
Più in basso, da una stretta bandella, pendono fitti pteruges con punta
arrotondata... un elmo con breve visiera, paranuca aggettante e
paragnatides... un elmo di tipo corinzio... un gladio...”
Interessante l’approvvigionamento idrico, con
cui veniva prelevata l’acqua dalle fresche e limpide sorgenti della Forma,
sul dorso del Monte Cairo, a circa mille metri d’altitudine, per condurla,
attraverso adeguate opere di ingegneria idraulica, alla Villa Euchelia. Una
cisterna romana ancora oggi è all’interno del cortile del Monacato di Santa
Maria a Palazzolo. E’ composta da tre settori rettangolari con volte a
botte.
Nello stesso cortile interno del predetto
Convento, è depositato un masso calcareo lungo 85 centimetri, largo 82, alto
50, con un’ampia incavatura, che fa pensare ad un’urna funeraria, oppure
alla parte inferiore di un thesaurus appartenente ad un presunto
santuario pagano.
Oggi, di Villa Euchelia non abbiamo più che i
menzionati resti, sparsi all’interno dell’attuale corte della moderna villa
che meriterebbe di essere curata e attrezzata a parco museale. Un maestoso
fornice in stile barocco introduce alla suddetta corte. Il palazzo ha un
bell’ingresso in zona parco, con gradinata in pietra e sculture.
Su questo sito, nella prima età benedettina,
presumibilmente verso la seconda metà del VI secolo, fu costruita dai monaci
di Montecassino una chiesa, dedicata a San Gregorio.
Nota storiografica. Nel riportare le presenti
notizie seguiamo Luigi Fabiani, pur sapendo di altre letture e
interpretazioni che, tra l’altro, ali mentano la confusione che è possibile
fare tra la Donazione di Gordiano e quella di Tertullo.
Attiguo alla chiesa, i monaci benedettini
costruirono anche un piccolo Monastero, che, come la chiesa, fu intitolato a
San Gregorio. La chiesa oggi è inesistente e scarsissime sono le notizie
storiche di pertinenza, oltreché contraddittorie. San Gregorio Magno fu il
grande papa che favorì la conversione dei Longobardi, agendo sulla regina
Teodolinda e quindi sul re Agilulfo, suo marito. Era figlio del patrizio
romano Gordiano, della gens Anicia, cui apparteneva la Villa Euchelia.
Gordiano aveva donato al Monastero di Montecassino, tra altri possedimenti,
anche quello di Villa Euchelia.
La donazione di Gordiano, insieme all’altra
donazione di vasti possedimenti intorno al Monastero di Montecassino e di
dodici corti in Sicilia fatta da Tertullo allo stesso Monastero, ci dice che
il dominio temporale dei Benedettini, in realtà, era incominciato proprio
con le donazioni dei patrizi romani Tertullo e Gordiano, nel VI secolo dopo
Cristo, e prima della famosa grande Donazione fatta da Gisolfo, duca di
Benevento, a Petronace, abate di Montecassino, nel 744. |