‘Qui vid'io nostra gente aver per duce
Varrone, il terzo gran lume romano,
che quando ‘l miro più tanto luce”.
Sono i versi con cui Francesco Petrarca parla dello
scrittore latino Varrone, nel Trionfo della Fama, collocandolo per grandezza tra
Virgilio e Cicerone.
Marco Terenzio Varrone fu uomo di cultura
vastissima, poliedrica, enciclopedica; egli intese di riportare, ai suoi tempi,
tutte le conoscenze del passato, per esaltare la grandezza di Roma e per
richiamare l’antica virtù, gli antichi ideali, in polemica contro la decadenza
civile e morale dell’epoca. E’ significativa una sua satira, Sexagesis,
in cui parla di un romano che, addormentatosi a dieci anni, si risveglia a
sessant’anni, in un mondo diverso, corrotto, degenere, non più accettabile.
Educato in modo severo e austero, fu egli stesso severo e austero sia come
scrittore, sia come cittadino, sia come uomo politico e militare. Era nato a
Rieti nel 116 avanti Cristo; morì nel 27, presumibilmente a Casinum. In
verità non è certo nemmeno il luogo di nascita. Non manca chi annovera tra i
possibili luoghi di nascita la stessa Casjnum. Il sepolcro di Varrone è
stato ipotizzato fosse lo stesso attribuito a Ummidia Quadratilla o altro
mausoleo nei pressi delle Terme varroniane. Varrone fu indubbiamente uomo
facoltosissimo, pur essendo di origine plebea. Le sue ricchezze gli servirono
per rendere sontuose le sue ville e per attendere ai suoi interessi culturali,
per le sue ricerche, per i suoi studi. Alla morte di Cesare si schierò contro
Antonio, per cui fu incluso nelle liste di proscrizione e gli fu saccheggiata la
villa di Cassino. Salvò la vita per l’intervento del potente giovane amico Fufio
Caleno, che lo mise al corrente delle intenzioni di Antonio e gli consentì di
fuggire da Cassino nel Teatino. Per intercessione dello stesso Caleno ottenne da
Augusto il proscioglimento della condanna a morte e tornò a vivere nella sua
villa a Cassino, ritiratosi dalla vita pubblica e dedito alla campagna, alla sua
uccelliera, alle sue opere letterarie.
Varrone fu amico di Cicerone, oltre che parente,
avendo l’Arpinate sposato una Terenzia della gens cui apparteneva Marco
Terenzio Varrone.
Di lui disse giustamente Cicerone che aveva
contribuito, con la sua opera, a far conoscere Roma ai Romani: “eravamo
stranieri e pellegrini a Roma, i tuoi libri ci hanno ricondotti in patria”. Le
attuali Terme Varroniane occupano’ grosso modo il suolo su cui sorgeva la villa
di Varrone, di cui lo scrittore romano ci dà dovizia di particolari nel De Re
Rustica. Si trattava di villa sontuosissima, arricchita di statue
provenienti dalla Grecia, di piscine, fontane, palestra o gimnasium,
biblioteca, terme e la splendida uccelliera. Altra villa possedeva Varrone a
Rieti, ma questa di Cassino era insuperabile per la sua architettura ed era pari
alle più sontuose e famose ville romane, quali quella di Strabone, di Nerone, di
Pompeo Magno, di Marziale, di Seneca, di Ovidio, di Lucullo. Particolare degno
di menzione era l’uccelliera, di cui esalta le caratteristiche lo stesso Plinio.
In essa era raccolto ogni genere di uccelli. Vi si accedeva per mezzo di una
serie di ponticelli, era refrigerata da una intensissima vegetazione in luogo
ameno di acque.
L’uccelliera era il gioiello della villa, e Varrone
ne ebbe culto speciale, tanto che vi trascorreva gran parte del suo tempo.
Dovette superare, a quanto si legge nel De re rustica, l’altro esemplare
della villa di Lucullo a Frascati e lo stesso modello della villa di Strabone a
Brindisi. L’uccelliera era congiunta con lo studio di Varrone per mezzo di un
passaggio coperto. Nella facciata era il portico, con colonne in pietra. L’area
dell’uccelliera era coperta da una rete di canapa e comprendeva le cavee,
alloggi degli uccelli; un orologio allietava il sito, con i suoi complessi
meccanismi ad acqua.
Le terme erano indispensabili in una villa, poi ché
i Romani usavano mettersi a mensa ben puliti e profumati, dopo aver fatto il
bagno. Le terme comprendevano il bagno freddo, la stanza per le unzioni e i
profumi, la stanza per il refrigerio, la sala di attesa, il bagno d’acqua calda,
la fornace per scaldare l’acqua, il vestibolo. Le mura erano per lo più in
opus reticulatum, in tozzetti di pietra romboidali di otto centimetri dilato
e mattoni. Lasciate in abbandono, furono restaurate nel secondo secolo dopo
Cristo per essere abbandonate ancora dopo l’età imperiale. Nel Medio Evo fu
edificata, sui ruderi delle Terme, la chiesa di San Nicola in Monticelli,
successivamente trasformata in oratorio di San Matteo, di cui non abbiamo più
resti. La villa di Varrone, le Terme stesse, hanno perso ogni configurazione con
la costruzione della Stazione ferroviaria di Cassino, nello scorso secolo, che
ha sconvolto e distrutto i resti archeologici.
Oggi le Terme Varroniane non sono altro che un verde
parco intristito da un invadente Camping. Magnifico, splendido, rigoglioso il
parco. Forse inopportuno il Camping.
Vi sgorgano numerosissime sorgenti, la cui portata
d’acqua è tra le più grandi d’Europa. Si tratta, oltretutto, di acque minerali,
molto valorizzate e convenientemente sfruttate per scopi terapeutici dai Romani. |