Anagni

 

Provincia di Frosinone, abitanti 19556, superficie Kmq 113,15, altitudine m.470

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COMUNI

Note Storiche

Posto a settentrione della provincia di Frosinone, il territorio  del comune di Anagni occupa tutta l'area pianeggiante, mentre il centro storico è posto sopra una collina tufacea a ridosso delle propaggini collinari dei monti Ernici.

Il nome dell'antica Anagnia, secondo l’Ambrosi De Magistris, uno dei maggiori storici locali, ha la sua radice nelle lingue italiche. Secondo le leggende diffuse nell’età moderna e fino all’Ottocento, Anagni avrebbe avuto i natali da Saturno, quando, ospite nel Lazio, fondò cinque città, tutte con la vocale iniziale A, simbolo di regalità: Alatri, Anagni, Aquino, Arpino ed Atina. Storicamente i primi abitanti di Anagni furono gli ernici, una delle tante popolazioni italiche che occupava l’area montana fra Anagni e Veroli. Erano associati in una confederazione religioso-politica e si riunivano presso i fiumi: Anagni era la città santa della confederazione ernica, prerogativa che conservò a lungo. Secondo le testimonianze degli antichi scrittori, gli ernici erano un popolo di agricoltori e il territorio anagnino era pingue e ricco di messi.

 

Abitanti: Anagnini

Festa patronale: San Magno

Frazioni e località: Anagni scalo, Osteria della Fontana

Comuni limitrofi: Acuto, Ferentino,Gavignano, Gorga, Montelanico, Morolo, Paliano, Piglio, Sgurgola, Fumone.

Distanza da Frosinone Km. 22

Autostrada: A1 Anagni

L’invasione volsca portò ad una duratura alleanza fra ernici e romani: successivamente i primi, sensibili al richiamo italico, si allearono con i sanniti. Nell’anno 306 a.C. Anagni, sconfitta dai romani, perse l’indipendenza, e la sua rovina fu anche il segno manifesto della decadenza ernica.

I romani si insediarono nel territorio e la città divenne un’appendice dell’Urbe: durante l’estate era meta di lunghi soggiorni e il suo territorio produceva beni alimentari per l’annona. Anagnia mantenne tuttavia il carattere sacro, ben descritto da una lettera di Marco Aurelio all’amico Frontone: ovunque, lungo l’arteria principale, templi ed edicole sacre s’innalzavano in onore degli dei.

Nel territorio anagnino sorgeva una villa imperiale, l’attuale Villa Magna, una grande villa rustica destinata allo sfruttamento e all’utilizzazione del patrimonio pubblico posseduto dallo stato.

Con l’egemonia romana anche la città si trasformò. Di questi secoli rimangono consistenti tracce: i cosiddetti “arcazzi”, la cinta muraria, ville rustiche, epigrafi, resti di santuari, tratti dell’antica via Latina, terme. Si ha altresì notizia di alcuni personaggi della Roma minore originari di Anagni, come Evodio, liberto di Marco Aurelio e precettore di Caracalla, e come Marcia, amante di Commodo e ideatrice della congiura contro lo stesso imperatore. Il passaggio dal periodo romano all’alto Medioevo è scarsamente documentato; si è certi comunque della presenza di una comunità cristiana nell’area della città, anche se in una zona a valle.

La rinascita dell’anno Mille e la riforma della Chiesa fanno da sfondo ad una forte rinascita locale, legata al ruolo del vescovo; in particolare del monaco benedettino Pietro di Salerno, diventato vescovo di Anagni. Appartenente al gruppo dei riformatori gregoriani, riordinò la diocesi, avviò il restauro degli edifici della città e dette inizio alla più importante vicenda del tempo: la costruzione di un nuovo edificio réligioso al vertice dell’acropoli, l’attuale Cattedrale di Santa Maria.

L’ediflcio, consacrato nel 1104, divenne il centro della città, della vita religiosa e della vita sociale.

Nei secoli dopo il Mille, pur conservando l’assetto generale della città romana, il patrimonio edilizio di Anagni venne rinnovato con la costruzione di altri edifici sacri (nel Medioevo erano presenti in città oltre 50 chiese) e di palazzi civili. Al centro della cerchia muraria (si tratta ancora di quella romana) una strada di sommità attraversava l’intero abitato; all’esterno vennero fondati diversi borghi che ospitarono la popolazione delle campagne e dei piccoli centri esistenti nel territorio.

I Papi

Con il XII secolo la città ernica divenne uno dei luoghi di residenza dei papi itineranti. In Anagni i papi trovavano non solo rifugio, ma anche l’appoggio e la sicurezza necessari per condurre avanti lo scontro con l’impero. Adriano IV vi soggiornò per molto tempo, fino alla morte; Alessandro III, da Anagni condusse la lotta contro Federico I Hohenstaufen, il Barbarossa. Nella città, dopo la battaglia di Legnano, vinta dai comuni contro l’imperatore, si stipularono i preliminari dell’armistizio, il cosiddetto pactum anagninum, che sarà il primo passo del la pace di Venezia e degli accordi definitivi di Costanza.

Impercettibilmente il papato riformatore si legò al territorio che meglio e più di ogni altro lo proteggeva e l’anagnino Lotario Conti, salì al trono pontificio con il nome di Innocenzo III. Uomo di grandi capacità ed abilità, fine politico e grande diplomatico, proclamò la superiorità della Chiesa sopra tutte le altre potestà, intuì il valore delle novità in campo spirituale ed approvò la regola francescana. L’approvazione, secondo una diffusa tradizione, sarebbe avvenuta a seguito di un sogno avuto dal pontefice. L’episodio è ricordato negli affreschi giotteschi ad Assisi. Primo protettore dei francescani fu il cardinale Ugolino Conti, parente prossimo di Innocenzo III, e suo successore (dopo la parentesi di Onorio III) al soglio pontificio col nome di Gregorio IX. Anche costui proseguì il progetto politico di Innocenzo III e, acerrimo avversario di Federico Il, scomunicò l’imperatore dall’alto del seggio papale della cattedrale anagnina. Continuò a proteggere i francescani e canonizzò San Francesco, non trascurando, nel contempo, l’altro grande ordine mendicante, quello dei predicatori.

Ambedue gli ordini costruirono in Anagni i loro conventi, mentre Gregorio IX fu l’artefice della costruzione del Palazzo oggi detto di Bonifacio VIII.

Altro papa anagnino, sempre della famiglia Conti, fu Alessandro IV, che condusse la lotta contro i residui della potenza sveva in Italia e canonizzò Santa Chiara nella Cattedrale. E considerato il massimo difensore degli ordini mendicanti, specialmente dei domenicani.

Lo schiaffo

La residenza anagnina dei papi, i quali fuggivano da Roma in estate a causa della malaria imperante alle porte della Città Eterna e per l’insicurezza stessa della città, continuò per tutto il Duecento ed ebbe come corollario finale la permanenza di Bonifacio VIII, l’ultimo dei cosiddetti papi anagnini. Benedetto Caetani, assurto al trono pontificio dopo Celestino V, con il nome di Bonifacio VIII, è considerato uno dei principali protagonisti del periodo di decadenza del Medioevo. Appartenente ad una famiglia che si era progressivamente radicata nel Lazio meridionale e il cui dominio, con l’assunzione al cardinalato ed al pontificato di Benedetto, si estese in poco tempo a macchia d’olio, può a ragione essere considerato un personaggio di notevoli qualità. Canonista importante, grande uomo di chiesa, colto e fine politico, operò per ristabilire l’autonomia del pontefice (compromessa dalla sudditanza di Celestino V agli angioini) e soprattutto per ripristinare l’assoluta autorità della Chiesa.

Il conflitto con il rappresentante dell’emergente stato regio e nazionale, il re di Francia Filippo il Bello, e l’alleanza di costui con i baroni, portò al cosiddetto “schiaffo d’Anagni”, ovvero l’aggressione e la cattura di Bonifacio VIII da parte delle forze a lui avverse. L’episodio fu la conseguenza di un accordo fra i rappresentanti di Filippo il Bello, impersonati da Guglielmo di Nogaret, uno dei nuovi giuristi che teorizzavano la fine della teocrazia, i Colonna, anch’essi potenti signori feudali del Lazio, ed una serie di altri baroni, defraudati o oppressi dalla politica espansionista dei Caetani. Grazie al tradimento di Adinolfo Conti, il quale aprì le porte ai congiurati, essi penetrarono in Anagni e assaltarono i palazzi di Bonifacio, dei Caetani e dei loro fautori. Ma solo bruciando le porte della Cattedrale, e attraverso un passaggio interno, gli assalitori giunsero al Palazzo papale dove catturarono Bonifacio. La scena de ve essere stata di estrema drammaticità: il papa rivestito delle insegne pontificie assiso in trono, la massa degli armati che irrompe nel salone, l’aggressione di Sciarra contro il papa. Nogaret, successivamente, dichiarerà di non essere stato presente al misfatto, conscio dell’importanza storica e della gravità degli avvenimenti. Il papa fu liberato dagli insorti cittadini di Anagni, dopo tre giorni di prigionia nel corso dei quali rifiutò di nutrirsi. Praticamente prigioniero dell’altra grande famiglia romana, gli Orsini, intervenuti col pretesto di proteggere il papa, Bonifacio morì meno di un mese dopo a Roma.

Le conseguenze dell’episodio furono gravi sia per il papato, che fu costretto al l’esilio avignonese, sia per Anagni: la città che si era giovata della residenza quasi costante della corte papale, vide decadere i traffici che si sviluppavano attorno alla curia (emissione di bolle, conferimento di benefici riservati al papato, questioni giudiziarie e teologiche, servizi alla curia, finanze pontificie ecc.). La popolazione si ridusse rapidamente di numero mentre, all’interno della compagine sociale aumentavano i contrasti fra i cittadini, e in particolare tra le famiglie nobili che lottavano per la conquista del potere.

La decadenza fu aggravata dalla peste nera del 1348 e,dal saccheggio, nel medesimo anno, ad opera della banda guidata dall’avventuriero tedesco Guarnieri di Urslingen.

Nel corso del Trecento la città si schierò con i Caetani i quali, assente il papato, continuavano a combattere la loro guerra familiare con gli antichi nemici. Di fatto i Caetani divennero signori di Anagni e da qui condussero una spietata lotta, senza esclusione di colpi: va ricordato lo sterminio di molti loro avversari perpetrato durante un banchetto a cui erano stati invitati.        

Il ruolo di Anagni fu centrale nello scisma d’Occidente: qui venne proclamata la decadenza di Urbano VI da parte dei cardinali vicini ai Caetani, ed eletto l’anti papa Clemente VII.

La fine dello scisma ed il ritorno del papato a Roma, pur ristabilendo l’autorità papale e dello stato, non comportò il risollevamento della città dalla sua profonda decadenza, che anzi si protrasse fino alla seconda metà del Cinquecento. I viaggiatori del Quattrocento e dei primi del Cinquecento, tra cui gli umanisti Flavio Biondo ed Erasmo da Rotterdam, denunciarono lo scarso numero degli abitanti, calati dai 30.000 del Duecento ai 2.500 degli inizi del XVI secolo.

La rinascita

La rinascita venne determinata dalla posizione strategica di Anagni, lungo la via Latina (l’attuale Casilina) e il possesso di un territorio ferace e molto esteso, fece della città ernica uno dei punti chiave del territorio a sud di Roma. Per questo motivo, negli anni della riorganizzazione dello stato pontificio, il suo ruolo politico- militare venne progressivamente rivalutato. Infatti nel 1543 Paolo III si recò personalmente ad Anagni e si convinse della necessità di fortificare il sito. Cominciarono i lavori di costruzione dei potenti bastioni, mai completati, ma che testimoniarono l’opera progettata dall’architetto Jacopo Fusti Castriota di Urbino.

Il ruolo militare emerse durante la guerra di Campagna, l’ultima guerra combattuta dai pontefici contro nemici esterni ed interni. Nel 1556 la città, difesa dal duca di Poli Torquato Conti, venne assediata dalle truppe spagnole guidate dal duca d’Alba. La preponderanza spagnola portò alla resa della città, che fu sottoposta ad un feroce saccheggio. Ma proprio questa estrema decadenza segnò il punto più basso e l’inizio della ripresa. Nel 1572, governando Anagni, sia come pastore religioso che come governatore civile, il cardinale Benedetto Lomellino, si operarono vasti restauri al Palazzo comunale, gioiello dell’architettura medioevale e comunale. Si ricostruirono diversi conventi e soprattutto si pose mano alla riorganizzazione dell’amministrazione pubblica, anche per essere in sintonia con i mutati indirizzi centralistici romani.

Ad una ripresa dei primi anni del Seicento seguì un lungo periodo di stasi durante il quale si posero le premesse per una salutare rinascita.

I primi anni del secolo XVII videro l’avvio di una nuova stagione dell’architettura sacra; la Cattedrale di Anagni, a partire dall’avvento del vescovo Seneca, comincia ad essere trasformata secondo quello stile barocco che già dominava a Roma ed era espressione della trionfante chiesa controriformista. Il presule istituì il seminario vescovile, e riformò il capitolo della Cattedrale istituendo una cappella musicale composta da otto beneficiati.

Nel corso del Seicento ci fu un costante, anche se lento, progressivo aumento della popolazione. Vennero messe a coltura molte terre, grazie anche all’introduzione del granturco (è il più antico caso nella zona). Sono solo le premesse per il balzo in avanti compiuto dalla città, nel suo complesso, in tutto il Settecento. Agli inizi del nuovo secolo la popolazione aumentò a cinquemila abitanti grazie alle nuove opere pubbliche relative alle fontane e ai servizi. Con l’aumento della popolazione ci fu un forte risveglio dell’edilizia privata e pubblica: si ampliarono le abitazioni e si restaurarono i quartieri; si costruirono o si ripristinarono palazzi della nobiltà locale e della ascendente borghesia cittadina; nacquero edifici per servizi pubblici specifici come il Monte Frumentario che ospitò l’annona di Anagni. Si aprirono anche nuove istituzioni sociali come una scuola per fanciulle, la prima opera di questo tipo in tutto il Lazio meridionale. Il Settecento fu un secolo che marcò l’immagine urbana di Anagni come già era accaduto nel Duecento; oggi appunto la fisionomia della città presenta questo doppio aspetto: medioevale e settecentesco.

Il ruolo trainante dell’economia locale (si erano tentati esperimenti economici all’avanguardia, come l’esclusione della manomorta ecclesiastica dalle nuove coltivazioni, il tentativo di riordinare la florida economia agricola, l’introduzione di un’industria tessile), strettamente collegata all’economia dell’Urbe e ad un ceto di mercanti-nobili cittadini, consacrò il ruolo economico dominante della città ernica. Ruolo che avrà un riconoscimento politico durante le vicende dell’occupazione francese, della repubblica romana e del successivo impero napoleonico quando sarà designata a capoluogo dipartimentale. 

La restaurazione pontificia ricondusse Anagni alle condizioni precedenti nelle quali rimase fino al 1870. Durante l’Ottocento la popolazione aumentò ancora e proseguì l’opera di rinnovamento edilizio intrapresa, nel secolo precedente. Soprattutto si pose mano ad un miglioramento della rete stradale con l’allargamento e la pavimentazione della via principale e si costruì un originale impianto idraulico per l’acqua potabile: un macchinario (brevetto belga) venne impiegato per portare l’acqua scaturente dalla sorgente della Sala, posta in pianura, alla sommità del colle di Anagni.

Con il 1848 e poi con la seconda repubblica romana, gli anagnini si interessarono all’unità d’Italia, al cui processo di formazione partecipò un’agguerrita pattuglia che seguì Garibaldi nel 1849, quando fissò il suo comando in Anagni nel Collegio domenicano di San Giacomo e la I Legione italiana venne dislocata alla Casina rossa di Anagni. Il movimento risorgimentale ebbe un vasto seguito nella città ernica e, con l’unità nazionale, si aprirono grandi possibilità di rinnovamento.

Dopo l’unità anche i monumenti religiosi vennero studiati e rinnovati: la cattedrale subì un lungo restauro, con la demolizione delle opere barocche e la definizione di una immagine più vicina al l’architettura medioevale. Si costruirono scuole e nel 1890 venne inaugurato il Convitto nazionale per le orfane dei maestri elementari, voluto da Ruggero Bonghi e dedicato alla regina Margherita, presente alla cerimonia d’inaugurazione. Nel 1897 si aprì il grande Collegio Leoniano, seminario maggiore per il Lazio, voluto da Leone XIII. A fine secolo venne completato l’ospedale civico e nel 1904 si costruì un nuovo impianto idrico, predisposto anche per produrre energia elettrica. Aprirono i primi moderni istituti di credito e la vita in città crebbe a stretto contatto con Roma per mezzo di una sempre più celere linea ferroviaria.

Dopo la prima guerra mondiale, a cui Anagni pagò un doloroso tributo in centinaia di morti e numerosi feriti, si sviluppò un vasto movimento socialista e contadino che, riunito in lega, ottenne radicali miglioramenti nelle contrattazioni agrarie.

Negli anni Venti venne portato a compimento un nuovo convitto per i figli dei dipendenti degli enti locali utilizzando gli edifici del Convento francescano di San Pietro in Vineis.

Dopo la lI guerra mondiale, apportatrice di gravi devastazioni anche in città sia per un bombardamento alleato che poiverizzò molte abitazioni nel pieno centro storico, sia per i danni provocati dai guastatori delle truppe d’occupazione tedesche, la vita riprese, e si cercò di superare la grave crisi economica. I problemi di Anagni nel dopoguerra furono quelli di tante parti della penisola: un’economia sostanzialmente agricola diventata scarsamente remunerativa, emigrazione e disoccupazione; soltanto con l’industrializzazione degli anni Sessanta, con la costruzione dell’autostrada del Sole e con il turismo di massa, l’economia si risolleverà e avrà momenti di notevole espansione. Intanto la città superò i 18.000 abitanti; visse, secondo la sua tradizione, notevoli fermenti in molti settori, in particolare nel campo dell’urbanistica, dell’istruzione, con l’apertura di ogni ordine di scuole. La nascita di nuovi quartieri non portò all’abbandono del centro storico, che continuò ad essere vitale punto di riferimento dell’intera cittadina. Si svilupparono contrade allora periferiche, altre potenziarono il proprio ruolo (come l’Osteria della Fontana, situata nel luogo del l’antico Compitum Anagninum, che continua a svolgere la sua funzione di punto d’incrocio e di sosta lungo la Casilina); sorsero insediamenti abitativi ex novo (come un moderno, piccolo quartiere totalmente autonomo, San Bartolomeo); ci fu, infine, una diffusa proliferazione delle abitazioni di campagna, tanto che oggi è possibile parlare di insediamento continuo.

L’industrializzazione è piuttosto recente, risalendo i primi insediamenti alla fine degli anni Cinquanta. Con l’autostrada e con la politica d’industrializzazione del Mezzogiorno, il polo di Anagni è stato il primo a svilupparsi e ad acquisire importanti stabilimenti industriali (Ceat, Squibb, Videocolor ed altri), notevoli sia per le lavorazioni che per il numero degli occupati.

Lo sviluppo del turismo sociale a Fiuggi, ma anche del turismo generico, ha avuto notevoli implicazioni per la città ernica. In provincia di Frosinone, Anagni è ai primi posti, dopo Fiuggi e Cassino, per l’afflusso dei visitatori.

Il centro storico

Il centro storico sorge sopra un unico crinale tufaceo, la parte più antica si è sviluppata sul versante orientale ove, intorno alla sommità, devono essere sorti insediamenti, civili e religiosi, almeno a partire dall’ottavo secolo a.C. (come dimostrano i recenti scavi di Santa Cecilia che hanno messo in luce costruzioni arcaiche, una favissa con resti greci, etruschi e della civiltà ernica). La delimitazione dell’acropoli è ben visibile per le mura romane che mostrano chiaramente il forte dislivello su cui poggiavano i recinti predisposti dalle popolazioni erniche. L’espansione del l’abitato arcaico doveva giungere ad ovest all’altezza dell’attuale piazza Cavour, la principale piazza anagnina e la fortificazione del sito doveva essere limitata, ai tempi degli ernici, ai punti meno scoscesi, essendo la più alta collina ricca di pendenze molto ripide.

Le mura erette dai romani risalgono, secondo le opinioni degli archeologi, al IV secolo a.C. e circondano un nucleo urbano estesosi notevolmente in epoca più recente e diventato un caposaldo di tutta l’area. Le mura, in opus quadratum, hanno uno spessore che varia dal metro e mezzo ai tre metri: il tratto meglio conservato è quello settentrionale, mentre gli altri presentano rimaneggiamenti medioevali e rinascimentali. La caratteristica di quest’opera sta nel fatto che non sono mura isolate dal terreno, a sé stanti, ma poggiano sul terrapieno posteriore come un muro di contenimento. I tratti di maggiore imponenza sono i cosiddetti “arcazzi”, il tratto meridionale ed i tre bastioni cinquecenteschi. Gli arcazzi sono una serie di archi grandiosi che si distaccano dal circuito di mura, sui pilastri dei quali erano scolpiti in rilievo dei falli. Si è congetturato di una loro appartenenza a terme o ad un tempio, ma sembra che sia un sistema predisposto per il contenimento della spinta del terreno retrostante. Il tratto a mezzogiorno è un lungo percorso di mura la cui originaria tessitura romana è stata in più punti rimaneggiata in epoca medioevale. Conserva una certa imponenza scenografica, anche per le molte torri ancora esistenti.

I bastioni cinquecenteschi sono tre. Il primo chiude il versante sud-est ed è relativo alla parte alta dell’acropoli; viene denominato anche di Santa Maria, dal nome della porta che conduce alla cattedrale. Il secondo è relativo alla porta di San Francesco, dal nome dell’omonima chiesa oggi scomparsa. Si trova al centro del tratto occidentale e la sua porta è stata interrata per innalzamento della strada antemurale. L’ultimo è quello rivolto a nord-ovest ed a nord, e si nota per gli imponenti aggetti delle sue due spine. Al centro di questo tratto esiste la Porta Cerere, oggi rappresentata da un arco-porta, costruito nel 1841.

La Porta di Santa Maria (anticamente porta degli Idoli) era il collegamento con la strada verso sud in direzione di Ferentino e Frosinone. L’attuale, un rifacimento, è di impronta cinquecentesca ed immette direttamente alla spianata di sommità dell’acropoli, corrispondente alla zona di massima difesa, e all’area sacra. La Porta di San Francesco, anch’essa di carattere cinquecentesco, era il tramite con la via Latina, con l’area della valle del Sacco; all’interno conduceva alla parte bassa della città, ove sorge un quartiere popolare ed esiste una serie di orti urbani. La Porta Cerere, oggi ridotta, come si è detto, ad un arco monumentale, apriva la strada diretta a Roma ed immetteva nella via principale di attraversamento dell’intera città. Da essa si entrava nei più popolosi quartieri urbani. La Porta di Tufoli, posta a nord, si apriva verso una valle interna e forse a percorsi di scollinamento e vallivi verso la Ciociaria interna, la valle di Fiuggi, i monti Ernici e la strada per Subiaco. Oggi questa porta, spariti i manufatti, è un semplice varco. Le strade dell’antichità che portavano ad Anagni sono la via Latina e la Labicana, a cui la città si collegava per mezzo di un fitto reticolo di strade locali di scollinamento.

Si è detto che l’immagine del centro storico è da una parte caratterizzata da edifici medioevali e dall’altra da edifici sette-ottocenteschi.

Lungo la via principale, via Vittorio Emanuele, nelle vicinanze della Chiesa di Sant’Andrea, sorge la cosiddetta Casa Barnekow, uno degli esempi più caratteristici dell’architettura civile del secolo XIII. Già appartenuta a Cinzio Tommasi ed al la famiglia Gigli, ha assunto il nome attuale dal barone svedese, Alberto Barnekow, ufficiale degli ussari e figura stravagante, vissuto nel corso dell’Ottocento in Anagni. L’edificio è caratteristico perché presenta una scala esterna coperta da un loggiato sorretto da due archi a tutto sesto e reca sulla facciata epigrafi e affreschi parietali apposti dallo stesso Barnekow.

La Cattedrale di Anagni, edificata dal vescovo Pietro, è uno dei più caratteristici edifici del secolo XI. Iniziata nel 1073 e terminata nel 1104, sorge sopra una chiesa paleocristiana; l’edificio si distingue per la semplicità e chiarezza dello stile. Verso il 1237, ad opera dei Cosmati di Roma, venne pavimentata con il caratteristico lastricato a tessere musive marmoree. Al tempo del vescovo Pandolfo il transetto fu trasformato secondo i con temporanei dettami gotici; nel Trecento viene aggiunta dai Caetani la cosiddetta Cappella Gaetana, una costruzione sorta all’esterno della Cattedrale, assieme ad un loggiato con stemmi e statua di Bonifacio VIII benedicente, complesso anch’esso prospiciente la piazza Innocenzo III. Nella parte destra sorgono altri locali, ove oggi sono le sacrestie e l’area museale. Come si è accennato in precedenza, agli inizi del Seicento, ad opera del vescovo Seneca, la Cattedrale fu trasformata secondo lo stile barocco, ma è stata restituita all’aspetto ritenuto originario con i restauri del 1880 e del 1938.

La facciata della Cattedrale di Anagni si presenta quasi disadorna, con i soli elementi decorativi tratti dalla precedente chiesa; alla sommità si eleva una cuspide e i tre portali sono tipici dell’architettura campana che rielabora materiali e stili precedenti, mantenendosi sobria negli apparati decorativi.

L’interno è suddiviso in tre navate longitudinali, separate da pilastri, e si chiude con il presbiterio rialzato, a sua volta concluso da tre absidi. Le decorazioni parietali e gli affreschi dei catini delle absidi sono del 1882, mentre il ciborio è romafico; il cero pasquale e la sedia episcopale sono del Vassalletto. Nella navata di sinistra si aprono la Cappella Lauri, con decorazioni barocche, il Battistero con catino romanico, la Cappella Gaetana con affreschi trecenteschi ed il sepolcro della famiglia Caetani.

Nella navata sinistra sono la Cappella della Madonna, con dipinti ottocenteschi gli ingressi al lapidario, alle sagrestie e al Museo del tesoro. Quest’ultimo conserva un fastoso apparato di tessuti medioevali, paramenti e oggetti d’arte sacra in metallo ed avorio provenienti da diversi luoghi d’Europa d’Asia, pervenuti per donazione della cattedrale; molti sono stati concessi dai papi, in particolare da Bonifacio VIII. Di notevole fattura il reliquiario di San Tommaso Beckett costruito con piastre di rame, incise e decorate con smalti. Le scene rappresentano il martirio del santo e i santi Pietro e Paolo.

Uno degli aspetti maggiormente rilevanti della Cattedrale di Anagni è sicuramente il ciclo degli affreschi esistenti nella cripta e nell’Oratorio di San Tommaso. Si accede alla cripta da due scale poste a metà delle navate laterali.

Secondo gli studiosi, gli affreschi vennero realizzati dopo la composizione della pavimentazione cosmatesca, quindi dopo il 1237: nascendo sessanta anni prima del ciclo assisiate, documentano il passaggio dai moduli bizantineggianti a quelli occidentali. Gli affreschi descrivono la formazione del mondo e la nascita dell’uomo, per giungere alle storie bibliche e al mondo redento da Cristo, meglio illustrato dalle storie dei santi anagnini. Il messaggio si conclude con una ricca simbologia del giudizio universale.

Le storie dei santi anagnini, in particolare delle traslazioni del corpo di San Magno, sono poste in rilievo ed occupano una buona porzione dell’intero ciclo.

Nell’annesso Oratorio di San Tommaso Beckett si può ammirare un altro ciclo di affreschi; lo stesso oratorio deve essere stato una più antica chiesa, che, a sua volta, è la riutilizzazione di un antico mitreo o di un tempio pagano: infatti si conserva qui un’ara pagana, e tutt’intorno corre un sedile murale, secondo i criteri delle chiese paleocristiane.

Gli affreschi sono stati devastati dall’umidità e non devono essere mai stati completati, se in qualche punto si vedono ancora disegni preparatori (sinopie). Qui si intravedono scene bibliche: la creazione di Adamo, di Eva, ed altre immagini dello stesso tenore. Sul lato opposto vi è una teoria di santi benedettini fra i quali si scorgeva anche il santo a cui è dedicato l’oratorio; tutti indicano la figura del Redentore.

Sulla spianata dell’acropoli, fra gli edifici principali — il Vescovado e il Seminario vescovile minore — della diocesi di Anagni-Alatri (unione recente delle rispettive precedenti diocesi), si apre un vasto piazzale al cui centro, alla sommità di una scalinata, si erge, isolato dagli altri edifici, un maestoso campanile a base rettangolare con cinque piani, a cui corrispondono altrettanti ordini di aperture decorate a bassorilievo, secondo lo stile romanico. Le campane sono sorrette da una struttura interna, metallica, costruita per isolare la costruzione in muratura dalle vibrazioni.

Dalla Cattedrale si scende verso l’ampia piazza Innocenzo III, ampliata dopo i bombardamenti della II guerra mondiale e sulla quale si aprono palazzi recenti e medioevali. Nelle vicinanze si eleva il Palazzo di Bonifacio VIII, ove, secondo la tradizione locale, avvenne il noto episodio dello “schiaffo d’Anagni”. Il palazzo sorse nei primi anni del Duecento, trasformando precedenti edifici, alcuni dei quali erano, probabilmente, destinati a fortificazione. Appartenne a Gregorio IX che lo utilizzò come sua residenza; nel 1295 fu acquistato dai Caetani con l’intento di formare, assieme al vicino palazzo di famiglia, una zona esclusivamente controllata dai parenti di papa Bonifacio. Oggi il complesso è collegato al l’imponente Monastero delle suore della congregazione cistercense fondata da suor Claudia De Angelis, una mistica anagnina del Settecento. Il Palazzo di Bonifacio VIII è un enorme complesso edilizio che si sviluppa su diversi piani; nella parte posteriore è sorretto da robuste ed ampie arcate; nei tre piani principali c’è un gioco di archi a tutto sesto ed a ogiva, sormontati da volte a crociera. Le sale sono normalmente tre per piano e quelle del l’ultimo sono decorate da affreschi con motivi araldici, ornamentali e zoomorfici. In una di queste, nella sala detta delle “scacchiere” per gli affreschi a motivi araldici, si sarebbe verificato l’episodio dello “schiaffo”.

Tra gli edifici anagnini più rilevanti va sicuramente considerato il Palazzo comunale. Secondo quanto si è potuto stabilire, è sorto a partire dal 1159, pare su progettazione dell’architetto bresciano Jacopo d’Iseo. Il palazzo è assai originale, rispetto alle costruzioni coeve e dello stesso tipo. Esso si fonda su una serie asimmetrica di grandi arcate sulle quali poggia la grande Sala della Ragione.

Alla grande sala del piano superiore si accede per mezzo di una rampa esterna, oggi ricostruita, dopo l’abbattimento di edifici sorti nei secoli successivi adiacenti al palazzo, come le carceri, e dopo l’isolamento dell’edificio nella parte posteriore. La facciata posteriore è ricca di elementi decorativi: bifore, trifore (corrispondenti ad una sala dallo stesso nome), stemmi (di Anagni e dei Caetani) ed una loggia, detta “del banditore”, quest’ultima quattrocentesca, mentre il complesso dell’ornato risale al Duecento-Trecento. I recenti restauri, del 1970, hanno conferito alla sala ed all’intero palazzo un’austera, maestosa immagine.

In questo palazzo hanno una sede il comune, le sue attività di rappresentanza, la Biblioteca comunale ed il ricchissimo Archivio storico. Nella Sala della Ragione si svolgono importanti avvenimenti culturali.

Oltre al Tesoro della Cattedrale, al ciclo di affreschi, ed al costituendo Lapidario, le chiese anagnine conservano un ricco corredo di dipinti, fra i quali un Maratti, un trecentesco Trittico del Salvatore una Madonna col Bambino del 1325, nonché un vasto patrimonio di arte sacra minore. Nella Chiesa di San Giacomo, dagli anagnini denominata di San Vincenzo in onore di San Vincenzo Ferreri, si trova una curiosa croce, detta di San Tommaso, composta da scritte che richiamano precetti cristiani.

Ormai inglobata dall’espansione cittadina, ed associata al convitto Principe di Piemonte, appena fuori di Anagni, si eleva la Chiesa di San Pietro in Vineis, che conserva un interessante ciclo di affreschi di ispirazione francescana. Sulla stessa strada, poco avanti, c’è una rotonda chiamata popolarmente “berzò”, costruita nel periodo napoleonico. Continuando si perviene all’imponente Collegio Leoniano, seminario regionale maggiore, costruito per volontà di Leone XIII e completato nel 1898, nel quale fu inglobata la precedente Chiesetta della Madonna della Mercede. L’edificio, maestoso e in una posizione dominante, conserva una ricca collezione di materiali archeologici. La città è ricca di palazzi eretti da famiglie della nobiltà e della borghesia locali; i più interessanti sono il Palazzo Traietto, già Caetani, che presenta una faccia taneoclassica mentre il retro e parte dell’interno sono medioevali. Anche il Palazzo Conti, il Palazzo Giannuzzi, il Bacchetti, il Pierron, mostrano ben definite architetture civili, tutte elaborate fra Settecento ed Ottocento.

Anagni e dintorni

Nei dintorni di Anagni è possibile vedere la serie di torri poste lungo la Casilina, che appartengono ad un sistema difensivo romano, riutilizzato in epoca medioevale. Fra queste c’è la Torre del Piano, con annessa chiesa medioevale, oggi riutilizzata in altro modo, e la Torre di Tufano che contiene un mulino e che conserva elementi di fortificazione e difesa, tra cui bocche cannoniere, del Cinquecento. Allo stesso sistema difensivo doveva appartenere la Torre di San Giorgio, i cui resti si possono individuare dalla spianata avanti la cattedrale. Si tratta di una torre, con annessa chiesa e recinto fortificato, posta verso la sommità delle colli ne erniche, al confine settentrionale di Anagni. Monastero benedettino ai tempi di Bonifacio VIII (anche se l’intero complesso era molto più antico), era decorato con affreschi oggi del tutto depauperati. Decadde a rango di chiesa rurale ed infine a semplice beneficio fino a quando venne concesso alle cistercensi della Carità. Espropriato dopo il 1870 e venduto al l’asta, divenne ricettacolo di greggi e di recente è stato totalmente devastato.

Ai margini occidentali del territorio anagnino, verso Sgurgola, sorge Villa Magna, già villa imperiale romana e poi castrum e monastero benedettino; divenne azienda agricola nel Quattrocento quando fu posseduta dai canonici della cattedrale.

Nel territorio di Anagni, nel luogo corrispondente all’antico abitato di Vico Moricino, doveva sorgere una comunità cristiana che dette vita ad un complesso catacombale scavato nel tufo. Scoperte in diversi momenti, le catacombe si articolano in più gallerie, tutte affiancate sullo stesso piano la cui entrata è direttamente al fianco di una collinetta. I loculi sono stati trovati quasi tutti devastati, con pochi frammenti epigrafici e pochissime decorazioni. Le tombe, numerosissime, attestano la presenza di una vasta comunità vissuta fra il IV ed il V secolo d.C. Nella piana di Anagni si conserva un estesissimo bosco, denominato Macchia di Anagni, residuo dei boschi scomparsi fra Seicento ed Ottocento con la bonifica forestale ed idraulica dei piani, ma anche per l’intenso sfruttamento da parte di una popolazione in rapido incremento. Attualmente la macchia, di circa 450 ettari, è attraversata dall’autostrada del Sole, ed ai suoi margini sorgono alcune fabbriche.

Ormai l’artigianato tipico è del tutto scomparso. La tradizionale lavorazione dei mobili con tarsie si è evoluta ed è oggi diventata una manifestazione d’arte. Anagni produce grandi quantità di uva oggi raccolte dalla Cantina sociale di Piglio; il vino prodotto è commercializzato sotto le etichette ditale consorzio. Localmente vengono prodotti due vini nobili, frutto di un’accurata selezione fatta dal musicologo Luigi Colacicchi, il Ro magnano e il Torre Ercolana.

La rapida modernizzazione ha sconvolto ritmi di vita e soprattutto una serie di tradizioni; scomparse le manifestazioni pubbliche cinquecentesche come la “matinata” e il palio dei rioni, in tempi più recenti è sparita anche la “giostra della bufala”, una caccia all’animale che veniva battuto a lungo, mentre correva all’impazzata lungo le strade di Anagni; ne rimane traccia in un filmato degli anni Trenta. Proprio in questi anni compaiono sagre dei prodotti tipici del luogo, e in Anagni si organizza la sagra dell’uva, manifestazione che era scomparsa con la decadenza della produzione viti-vinicola. Da ricordare infine che, da circa un decennio, si organizzano gli “incontri musicali d’estate” ed il “festival della città dei papi”, due fra le più importanti iniziative del Lazio meridionale.

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