Alvito

 

Provincia di Frosinone, abitanti 3099, superficie Kmq 52,01, altitudine m.450

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COMUNI

Note Storiche

Alvito sorge ai piedi dell’Appennino, addossato ad una collina di circa 700 metri, in posizione panoramica. Parte del suo territorio montano rientra nel Parco nazionale dell’Abruzzo. A pochi chilometri dal paese, fra le montagne confinanti con l’Abruzzo, c’è la cosiddetta Fossa Maiura, una depressione carsica che forma quasi un anfiteatro naturale:

si tratta di una dolina profonda circa 100 metri, a forma di tronco di cono rovesciato che ha un perimetro superiore al chilometro. Qui hanno origine le acque d’alimentazione del Fibreno. Nell’ambito del territorio esiste una sorgente dalla quale scaturisce acqua sulfureo-ferruginosa.

Il nome di Alvito deriva dal monte su cui sorge, chiamato in precedenza Albeto. Altri vorrebbero far derivare il nome olivetum, per sottolineare una caratteristica dell’agricoltura locale.

 

Abitanti: Alvitani

Festa patronale: San Valerio

Frazioni e località; Castello, Sant'Onofrio

Comuni limitrofi del Lazio: Atina, Campoli Appennino, Casalvieri, Gallinaro, Posta Fibreno, San Donato Val di Comino, Vicalvi.

Distanza da Frosinone Km. 43

Autostrada: A1 Ceprano, A1 Cassino

Secondo la storiografia tradizionale, il centro abitato sorse intorno al Mille, nel periodo dell’incastellamento, ma le prime testimonianze certe sono del 1096. Su un colle poco distante, attorno alla Chiesa di Sant’Urbano, era già sorto l’omonimo villaggio poco prima del 1017. Comunemente si ritiene che quest’ultimo fosse scomparso durante le scorrerie di Roffredo, abate di Montecassino, nel 1193 e che gli abitanti di Sant’Urbano fossero confluiti nel l’abitato meglio fortificato di Albetum. La presenza benedettina cassinese nella zona era molto forte: i monaci possedevano la Chiesa di San Martino, esistente dal 1020, situata vicino a Sant’Urbano, e lo xenodochio di San Simeone, il più antico della zona. La presenza dei monaci favorì certamente il popolamento: oggi ad Alvito l’unica traccia dei benedettini di Montecassino è rappresentata da un leone confinano conservato sopra un muro davanti al Palazzo Gallio. La signoria ed il castello appartennero ai d’Aquino dal 1100 fino all’avvento degli angioini che, favoriti dalla distruzione della rocca, avvenuta nel corso del terremoto del 1349, e dalla morte, avvenuta nel crollo del maniero, di Adenolfo III d’Aquino e degli eredi, vi insediarono militari francesi tra i quali i Cantelmo. Fu appunto Rostaino Cantelmo a ricostruire il baluardo.

Intanto, per incrementare la popolazione, nel corso di tutto il Trecento, furono creati due borghi posti più in basso della rocca e Alvito apparve nelle liste delle imposizioni fiscali, come il centro più grande di tutta la Val di Comino. La popolazione fu coinvolta nelle continue guerre dovute alle scorrerie locali, allo scisma d’occidente, al conflitto fra aragonesi ed angioini e a quello fra durazzeschi e aragonesi. Pur fra tante vicissitudini, i Cantelmo riuscirono a creare un vasto dominio feudale fra Abruzzo e Campania, che comprendeva le contee di Popoli e Alvito. Nel Quattrocento, l’intera VaI di Comino e la contea di Sora erano saldamente nelle mani dei Cantelmo, che posero la capitale del loro stato ad Alvito.

Le vicende della seconda metà del Quattrocento furono alla base della decadenza di questa famiglia. L’insofferenza degli abitanti verso i Cantelmo, le ripetute sconfitte dei loro alleati francesi, l’attacco finale di Federico d’Aragona che assediò Alvito, furono le cause del loro crollo. Giampaolo fuggì e morì in esilio, figli e nipoti dovettero ricorrere alla carità del re, altri giovani Cantelmo si recarono a servizio di signori italiani. Al loro posto subentrarono i Borgia e il borgo, coinvolto nelle guerre franco-spagno le, venne assediato nel 1503 dagli spagnoli che lo posero sotto il loro controllo. Di venne signoria dei Navarro, dei Cardona, e fu amministrato da governatori, in quanto queste famiglie, che abitavano a Napoli, detenevano i feudi solo per lo sfruttamento economico.

Nel XVII secolo, nonostante il distruttivo terremoto del 1654, che causò tra l’altro l’abbattimento della Chiesa di San Giovanni Evangelista, il borgo continuò a crescere. Si svilupparono sia le case al Peschio che quelle della borgata inferiore: è qui che venne a concentrarsi la gran parte della popolazione e sorsero le abitazioni del nuovo ceto dirigente. Fu anche il periodo dell’espansione urbana, della costruzione di nuovi e più ampi edifici, sia civili che religiosi e della loro decorazione da parte di artisti celebri. Alla cattiva amministrazione dei signori è stata addebitata la comparsa del brigantaggio, che infestò la zona in modo virulento per tutto il secolo XVI; anche Marco Sciarra, uno dei più celebri briganti del tempo, ebbe qui modo di spadroneggiare. Non diversamente dai briganti si comportarono, molto spesso, anche le truppe regolari.

Dopo alterne vicende nell’anno 1600, i Gallio divennero ufficialmente signori di Alvito. E fu il cardinale Tolomeo Gallio ad esercitare l’effettivo potere, occupandosi personalmente dei problemi della contea. Riuscì ad eliminare la piaga del brigantaggio e creò, per una migliore difesa, milizie comunali, comandate da capi locali.

Fece costruire Villa Gallia (oggi in territorio di Posta Fibreno) il Palazzo ducale e alcuni conventi. Diede un certo impulso all’asfittica economia locale costruendo una cartiera e realizzando una strada. NeI 1744 Carlo III di Borbone concesse ad Alvito il titolo di città perché ormai possedeva tutte le prerogative per esserlo: una popolazione numerosa che si aggirava sui seimila abitanti, edifici amministrativi, di culto e una solida vitalità economica. Insomma, la città era in continua crescita. Nel Settecento e nell’Ottocento ci si occupò dell’istruzione, sia maschile che femminile, mentre Alvito seguiva i destini politici del regno di Napoli. Il Risorgimento non fu molto sentito: anzi nel 1860 si ebbe ad Alvito una sommossa antiunitaria.

La cittadina è stata spesso colpita dai terremoti. Sismi di particolare gravità avvennero nel 1873, nel 1901 e nel 1915. Già appartenente alla provincia di Caserta, Alvito entrò a far parte nel 1927 della provincia di Frosinone.

Nel corso degli ultimi secoli, la popolazione di Alvito è diminuita, passando dai seimila abitanti del Settecento agli attuali tremila. Le cause sono da ricercare nella decadenza della signoria locale e, soprattutto nella crisi economica e sociale dovuta alla marginalità in cui era ricaduta la Val di Comino, rispetto ai processi economici dell’area della media valle del Liri. Ne era derivata una forte emigrazione demografica, a partire dalla fine dell’Ottocento. Una lenta ripresa demografica è di questi ultimi anni, dovuta a un minor isolamento e alla crescita di attività terziarie.

beni artistici e monumentali

La città possiede diversi beni artistici e monumentali: il Palazzo ducale Gallio, il Palazzo Elvino eretto dall'omonimo prelato di curia, tesoriere di Paolo III, il Palazzo Mazzenga, il Palazzo Ferrante, il Palazzo Castrucci, il Palazzo Sipari (questi tutti di epoca moderna), il Palazzo Panicale e il Palazzo Graziani. In quest'ultimo si conservava il museo omonimo, la cui raccolta di cimeli, soprattutto di guerra, è stata dispersa a partire dal secondo dopoguerra. Nei dintorni della città è da segnalare la casina Ferrante, villa rurale della fine del Cinquecento che ha subito modifiche fino al XVIII secolo.

Il Palazzo ducale, cominciato nel Quattrocento, di fatto ricostruito dal cardinale Gallio all’inizio del Seicento e completato, con interventi anche successivi, intorno al 1633, è uno dei monumenti più interessanti di Alvito. Eretto sulla strada d’accesso alla cittadina, si presenta con una bella facciata barocca, sopra un porticato. L’ampio scalone conduce al primo piano articolato in sale e saloni decorati ad affresco con soffitti a cassettoni e belle porte barocche. Malgrado le spoliazioni operate nei secoli e la vendita di pitture (del De Matteis e di Luca Giordano), di arazzi (su disegno del Rubens) e di altri arredi, il palazzo si presenta ancora fastoso. Nella sala originariamente destinata ai ricevimenti, si conservano quattro grandi tele, attribuite alle scuole di Luca Giordano e di Nicola Melanconico, rappresentanti Tobia e Tobiolo, Diana ed Endimione, Olindo e Sofronia e il Giardino di Armida.

La Parrocchiale di San Simeone, eretta nella forma attuale nel Settecento, ha navata unica, con soffitto a cassettoni decorato d’oro. Sui diversi altari campeggiano pale del Seicento e dell’Ottocento. Nella sacrestia si conservano una Crocifissione attribuita al Cavalier d’Arpino, e una pregevole Presentazione al tempio attribuita ad Antonio Solaro, detto “lo zingaro”. Un’altra Presentazione, dipinta su tela e posta sulla volta della chiesa, è attribuita a Francesco Sacco ed è datata al 1738. Inoltre vi sono due cori di legno massiccio, opera di Basilio Bonanno e Giuseppe Ergenberg, autore anche del pulpito, mentre una statua lignea raffigurante la Madonna di Loreto è di Giovanni Stolz.

La Chiesa di Santa Maria del Campo esiste sin dal 1090: si tratta di un’antica costruzione rurale, eretta in forme romani che sopra un tempio di Venere, che conserva tracce di affreschi d’impostazione bizantina ed altri del XV-XVI secolo. Uno di questi, rappresentante la Madonna delle Grazie, è attribuito a Taddeo Zuccari. La testa della statua lignea della Madonna del Campo è del 1426. Nell’atrio si conserva una raccolta di reperti archeologici. Il Convento di San Nicola, francescano, fondato nel 1516, ampliato e restaurato a partire dal 1720, presenta facciata e interno nel più caratteristico barocco tipico dell’area. Fu arricchito d’opere d’arte da papa Clemente XIV, già cardinale Ganganelli, che aveva insegnato nel convento alvitano. Sugli altari della chiesa campeggiano sette grandi pale, attribuite alla scuola di Sebastiano Conca. Nella sacrestia vi sono armadi i cui pannelli rappresentano otto scene bibliche. L’antica Chiesa di San Giovanni Evangelista crollò durante il terremoto del 1654: l’attuale edificio fu ricostruito a partire dal 1682. Santa Maria Assunta del Castello, l’antica chiesa castellana, attualmente a tre navate, è stata ricostruita nel Settecento. Nel suo interno v’è un ricco patrimonio artistico con affreschi e pitture su tela.

Fuori della cittadina sono state costruite due chiese rurali, di epoca medioevale, rispettivamente dedicate a San Sebastiano e San Rocco.

Il Castello è caratterizzato da una grande muraglia, con torrioni angolari e due cortili interni, mentre all’esterno vi è un grande piazzale triangolare. Prima dei crolli del dopoguerra esisteva un grande salone interno con volte gotiche dello stesso stile del portale. Vicino al castello si trova il borgo, anch’esso difeso da ampie mura, in cui si aprono diverse porte (anticamente erano tredici), che immettevano in altri due insediamenti alvitani.

L’economia locale è ancora fondata sul l’agricoltura, sull’artigianato, su attività commerciali, e, in parte, su una cava di stucco, venduto sul mercato napoletano. Molti alvitani lavorano negli uffici delle cittadine dei dintorni, a Sora e a Frosinone; molti sono occupati negli stabilimenti industriali di Cassino e di Anagni. L’artigianato tipico locale produce panieri con intrecci di vimini, lavori in ferro battuto, e, soprattutto, è ancora molto diffuso il ricamo; si lavora il pizzo e il merletto. 

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